sabato 19 dicembre 2009

Festa di compleanno

Buogiorno twilighters!
Per la nostra rubrica pioggia di parole oggi ricordiamo la festa di compleanno peggiore di tutti i tempi. La prova che la sfiga di Bella sia davvero un'arma di distruzione...
Enjoy!


Mi aspettavano tutti nel grande salotto bianco; quando entrai mi saluta-rono in coro, con un «Buon compleanno, Bella!», mentre io, a occhi bassi, arrossivo. Qualcuno, probabilmente Alice, aveva ricoperto ogni centimetro libero di candele rosa e dozzine di vasi di cristallo colmi con centinaia di rose. Su un tavolo, vicino al pianoforte a coda di Edward, sopra una tova-glia bianca spiccavano una torta di compleanno rosa, altri fiori, una pila di piatti di vetro e una piccola montagna di regali avvolti in carta argentata.
Cento volte peggio di quanto immaginassi.
Edward si accorse del mio disagio e per incoraggiarmi mi strinse forte con un braccio, baciandomi sul capo.
Carlisle ed Esme, i suoi genitori - incredibilmente giovani e carini come sempre - erano i più vicini alla porta. Esme mi abbracciò con cautela, sfio-randomi il viso con i capelli morbidi color caramello mentre mi baciava sulla fronte, e Carlisle mi cinse le spalle.
«Mi dispiace, Bella», sussurrò, «ma non siamo riusciti a trattenere Alice».
Dietro di loro c'erano Rosalie ed Emmett. Rosalie non sorrideva, ma per-lomeno non m'incenerì con lo sguardo. Il volto di Emmett era illuminato dal sorriso. Non ci vedevamo da mesi e mi ero dimenticata di quanto stra-ordinariamente bella fosse lei - bella quasi da star male. Ed Emmett, era sempre stato così... grosso?
«Non sei cambiata per niente», disse lui fingendosi deluso. «Mi aspettavo di trovarti cambiata e invece eccoti qui, con le guance rosse di sempre».
«Grazie mille, Emmett», risposi arrossendo ancora di più.
Rise. «Devo uscire un attimo», fece una pausa e strizzò l'occhio ad Alice. «Non combinare guai, mentre sono via».
«Ci provo».
Alice lasciò la mano di Jasper e mi si avvicinò, il sorriso sfavillante sotto le luci accese. Anche Jasper sorrideva, mantenendo le distanze. Alto e biondo, era appoggiato al corrimano, ai piedi della scala. Dopo i giorni in cui eravamo stati costretti a tenerci nascosti a Phoenix, pensavo che avesse superato l'avversione nei miei confronti. Invece, appena libero dall'obbligo di proteggermi, era tornato esattamente al punto di partenza, evitandomi ogni volta che poteva. Sapevo che non era una questione personale, ma soltanto una precauzione, e cercavo di non mostrarmene troppo toccata. Jasper aveva ancora qualche problema di adattamento alla dieta dei Cullen: gli era molto più difficile, rispetto agli altri, resistere all'odore del sangue umano, dato che era il meno allenato della famiglia.
«È ora di aprire i regali», dichiarò Alice. Mi prese a braccetto, con la mano fredda, e mi trascinò fino al tavolo con la torta e i pacchetti luccicanti.
Sfoderai la mia migliore espressione da martire. «Alice, ti avevo detto che non volevo nulla...».
«E io non ti ho ascoltata», m'interruppe, sfacciata. «Apri». Mi tolse di mano la macchina fotografica e la rimpiazzò con una grossa scatola quadrata e argentata.
Era tanto leggera da sembrare vuota. Il biglietto diceva che era un regalo di Emmett, Rosalie e Jasper. Senza pensarci, strappai la carta e fissai la scatola.
Era qualcosa di elettrico, con un nome pieno di numeri. Aprii la scatola per capirci qualcosa di più, ma in effetti era vuota.
«Ehm... grazie».
Rosalie riuscì addirittura a sorridere. Jasper sghignazzò. «È un'autoradio per il tuo pick-up», spiegò. «Emmett è andato subito a installarla, così non la potrai rifiutare».
Alice mi precedeva sempre.
«Jasper, Rosalie... grazie», dissi con un sorriso, e ripensai alle lamentele di Edward a proposito della radio, quel pomeriggio: evidentemente era tutto combinato. «Grazie, Emmett!», gridai.
Sentii la sua risata tonante rimbombare dal pick-up e anch'io non riuscii a trattenere un sorriso.
«Adesso apri quello mio e di Edward», disse Alice, così entusiasta che la sua voce somigliava a un trillo acutissimo. In mano aveva un piccolo involucro, quadrato e piatto.
Mi voltai e rivolsi a Edward uno sguardo inceneritore. «Avevi promes-so».
Prima che potesse rispondere, rispuntò Emmett. «Appena in tempo!», esclamò. Spinse avanti Jasper, che si era avvicinato più del solito per guardare meglio.
«Non ho speso un centesimo», mi rassicurò Edward. Scostò una ciocca di capelli dal mio viso, e un fremito passò sulla mia pelle.
Feci un respiro profondo e mi rivolsi ad Alice. «Dammi», dissi rassegnata.
Emmett ridacchiò divertito.
Afferrai il pacchetto, lo sguardo puntato su Edward, mentre infilavo il dito sotto il bordo del rivestimento per strappare il nastro.
«Oh, cavolo», mormorai, quando la carta mi tagliò il dito; lo alzai per esaminare il danno. Dalla ferita invisibile colava una minuscola goccia di sangue.
Poi accadde tutto molto velocemente.
«No!», ruggì Edward.
Si lanciò verso di me scagliandomi dall'altra parte del tavolo, che si ro-vesciò insieme alla torta, ai regali, ai fiori e piatti. Atterrai in una pioggia di frammenti di cristallo.
Jasper si scontrò con Edward e il fragore fu lo stesso di una valanga di rocce.
Si sentì un altro suono, un ringhio raccapricciante e cavernoso che nasceva dal petto di Jasper.
Cercò di sfuggire alla presa di Edward, mordendo l'aria a pochi centimetri dal suo viso.
Emmett lo afferrò da dietro un istante dopo, bloccandolo nella sua presa d'acciaio, ma Jasper si dimenava, gli occhi impazziti e vuoti puntati verso di me.
Oltre allo spavento, sentivo anche una fitta lancinante. Ero caduta vicino al pianoforte, gettando le braccia in avanti per proteggermi, in mezzo alle schegge di vetro affilate. Dal polso al gomito, ormai il dolore m'invadeva, acuto e bruciante.
Confusa e disorientata, cercai di non badare al rosso vivo del sangue che mi colava dal braccio... e incrociai gli sguardi eccitati di sei vampiri im-provvisamente famelici.

Nessun commento:

Posta un commento