mercoledì 10 giugno 2009

I Cullen

ed eccoci con una nuova rubrica!!!
quante volte avete letto i fantastici libri della zia Steph e vi siete soffermati a leggere e rileggere quelle poche righe? quante volte avete pesanto a quella scena che non ne vuole sapere di andarsene via dalla testa????
ebbene...da oggi spazio dedicato alle parti più belle della nostra "bibbia"!!
spero che quelle che abbiamo scelto io e Giusy rientrino anche tra le vostre preferite!
morsetti a tutti!!!!
kiara e Giusy
Fu in quel momento, seduta a pranzo, impegnata a conver­sare con setteestranei curiosi, che li vidi per la prima volta.Erano seduti nell'angolopiù lontano e isolato della mensa. Erano in cinque. Non parlavano e nonmangiavano, benché ognuno di loro avesse di fronte a sé un vassoio pieno dicibo, intatto. Non mi stavano squadrando, a differenza della mag­gior partedegli altri studenti, perciò potevo osservarli tran­quillamente, senzatemere di incontrare uno sguardo un po' troppo curioso. Ma non furono questiparticolari ad attirare, e catturare, la mia attenzione.Non si somigliavanoaffatto. Dei tre ragazzi, uno era grosso, nerboruto come un sollevatore di pesiprofessionista, i capelli neri e ricci. Uno era più alto e magro, ma comunquemuscolo­so, biondo miele. Il terzo era smilzo, meno robusto, con ica­pelli rossicci e spettinati. Sembrava molto più giovane degli al­tri,che avrebbero potuto anche essere studenti universitari, o addiritturainsegnanti.Le ragazze erano sedute di fronte a loro. Quella più alta erastatuaria. Il genere di bellezza che si vede nei cataloghi di co­stumi dabagno, di quelle che infliggono duri colpi all'autosti­ma delle altre donne.Aveva capelli dorati, che le accarezzava­no la schiena con un'onda delicata.La ragazza più bassa era una specie di folletto, magrissima, dai tratti moltodelicati. I suoi capelli erano neri corvini, corti e scompigliati.Eppure,c'era qualcosa che li rendeva tutti somiglianti. Ognuno di loro era pallido comeil gesso, erano i più pallidi tra tutti gli studenti di quella città senza sole.Più pallidi di me, l'albina. Tutti avevano occhi molto scuri, a dispetto deldiverso colore dei capelli, e cerchiati da ombre pesanti, violacee, simili alividi. Quasi avessero tutti trascorso la notte senza chiudere occhio, o sistessero riprendendo da una rissa. Eppure, il resto dei loro lineamenti eradritto, perfetto, spigoloso.Ma non era questo il motivo per cui nonriuscivo a disto­gliere lo sguardo.Li fissavo perché i loro volti,così differenti, così simili, era­no tutti di una bellezza devastante,inumana. Erano volti che non ci si aspetterebbe mai di vedere se non, forse,sulle pagine patinate di un giornale di moda. O dipinti da un vecchiomae­stro sotto fattezze di angeli. Difficile decidere chi fosse il piùbello: forse la ragazza bionda e perfetta, forse il ragazzo con i capelli dibronzo.Tutti guardavano altrove, lontano dal loro tavolo, lontano daglialtri studenti, lontano da qualsiasi cosa, per quel che po­tevo capire.Mentre li osservavo, la ragazza minuta si alzò con il vassoio in mano - bibitaancora sigillata, mela senza l'ombra di un morso - e si allontanò con unafalcata veloce, aggraziata, da atleta. Meravigliata da quel passo di danza laguardai finché, rovesciato il contenuto del vassoio nella spazzatura, sparìdalla porta secondaria a una velocità impensabile. Il mio sguardo guizzò dinuovo sugli altri, seduti esattamente come prima.«E quelli chi sono?»,chiesi alla ragazza della lezione di spa­gnolo, di cui avevo dimenticato ilnome.Mentre lei alzava lo sguardo per capire di chi parlassi - ma forse peril mio tono di voce l'aveva già intuito -, lui la guardò, il più magro, il piùgiovane, quello con l'aria da ragazzino. Os­servò la mia vicina per non piùdi una frazione di secondo, e poi i suoi occhi scuri lampeggiarono neimiei.Distolse lo sguardo all'istante, ancora più in fretta di me, cheavvampando dall'imbarazzo, chinai subito il capo. In quel­la fulmineaschermaglia di occhiate, la sua espressione rimase neutra, come se la mia vicinaavesse pronunciato il suo nome e lui avesse alzato gli occhi involontariamente,ma già deciso a non rispondere.La ragazza fece una risatina imbarazzata ecome me guardò verso il tavolo.«Sono Edward ed Emmett Cullen, assieme aRosalie e Jasper Hale. Quella che se n'è andata era Alice Cullen; vivono tuttiassieme al dottor Cullen e sua moglie», disse, con un filo di voce.Guardaidi sottecchi quel bel ragazzo, che ora osservava il proprio vassoio e faceva apezzi una ciambella con le dita lunghe e pallide. La sua bocca si muovevavelocissima, le labbra perfette si aprivano appena. Gli altri tre continuavano aguar­dare altrove, eppure mi sembrava che stesse parlando, piano, conloro.Nomi strani, poco diffusi, pensai. Nomi da nonni. Ma forse qui andavadi moda: nomi da cittadina di provincia? Infine ri­cordai che la mia vicinasi chiamava Jessica, un nome comunis­simo. A casa avevo due compagne diclasse che si chiamavano Jessica.«Sono... molto carini», mi sforzai diminimizzare, ma non ero credibile.«Sì!», concordò Jessica con un'altrarisatina. «Però stanno assieme. Voglio dire Emmett e Rosalie, e Jasper e Alice.E vivo­no assieme». Nella sua voce si sentivano tutta l'indignazione e lacondanna della cittadina, così almeno sembrava al mio orec­chio critico. Inrealtà, onestamente, dovevo ammettere che an­che a Phoenix sarebbe stato unpettegolezzo ghiotto.«Quali sono i Cullen?», chiesi. «Non sembranoparenti...».«Oh, non lo sono. Il dottor Cullen è molto giovane, hatrent'anni, forse meno. Sono tutti figli adottivi. Gli Hale sì sono davverofratello e sorella, gemelli - i due biondi - e sono inaffidamento».«Sembrano un po' grandi per essere ancora inaffidamento».«Adesso sì, Jasper e Rosalie hanno diciotto anni, ma vivono conMrs Cullen da quando ne hanno otto. È una specie di zia o qualcosa delgenere».«È davvero un bel gesto... prendersi cura di tutti queira­gazzi, nonostante siano giovani e tutto il resto».«Direi di sì»,ammise Jessica senza troppo entusiasmo, e mi fece intuire che per un motivo oper l'altro il dottore e sua mo­glie non le piacevano. A giudicare daglisguardi che lanciava ai loro figli adottivi, doveva essere una questione digelosia. «Co­munque penso che Mrs Cullen non possa avere bambini»,ag­giunse, come se ciò sminuisse la bontà della signora.Durante laconversazione, non potevo fare a meno di lancia­re continuamente svelteocchiate al tavolo della strana famiglia. Continuavano a guardare il muro senzamangiare.«Hanno sempre abitato a Forks?», chiesi. Mi sarei certoac­corta di loro, durante una delle mie vacanze lì.«No», rispose lei, eil tono di voce sottintendeva che la ri­sposta doveva essere ovvia anche peruna nuova arrivata come me. «Si sono trasferiti un paio d'anni fa, vengono da unqua che posto in Alaska».Istintivamente provai compassione e sollievo.Compassione perché, belli com'erano, restavano degli emarginati,chiara­mente malvisti. Sollievo perché non ero l'unica nuova arrivata, né dicerto, e sotto nessun punto di vista, la più interessante.Mentre listudiavo, il più giovane dei Cullen alzò lo sguardo e incrociò il mio, estavolta la sua espressione era evidentemen­te incuriosita. Mi voltai discatto, e allora mi sembrò di notare che il ragazzo fosse stranamente sorpreso,quasi deluso.«Chi è quello con i capelli rossicci?», chiesi. Lo sbirciavocon la coda dell'occhio, lui continuava a fissarmi, ma senza squadrarmi comeavevano fatto tutti gli altri studenti. La sua espressione era leggermentefrustrata. Abbassai di nuovo lo sguardo.«Si chiama Edward. È uno schianto,ovviamente, ma non sprecare il tuo tempo. Non esce con nessuna. A quanto parequi non ci sono ragazze abbastanza carine per lui», disse, con aria didisprezzo. La volpe e l'uva. Chissà quando era toccato a lei essererifiutata.Mi morsi un labbro per non riderle in faccia. Poi guardai di nuovoverso il ragazzo. I suoi occhi erano rivolti altrove, ma le guance mi parveroalzarsi come se stesse ridendo anche lui.Dopo qualche minuto, i quattro sialzarono da tavola assieme. Tutti si muovevano con una grazia che richiamaval'attenzione, anche il più grosso e nerboruto. Osservarli era fonte diturba­mento. Quello che si chiamava Edward non mi guardò più.



1 commento:

  1. Bellissima qst scena...la + importante...
    cmq a me piace la scena qnd Ed kiede a Bella di accompagnarla a Seattle...
    oppure il loro primo pranzo insieme...o la prima notte in cui hanno dormito insieme e lei si sveglia trovandolo sulla sedia a dondoloooo...
    Adesso sto rileggendo x la 5 volta New Moon....!!!
    Baciozzi a tuttee...e Morsetti

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