ed eccoci con una nuova rubrica!!!
quante volte avete letto i fantastici libri della zia Steph e vi siete soffermati a leggere e rileggere quelle poche righe? quante volte avete pesanto a quella scena che non ne vuole sapere di andarsene via dalla testa????
ebbene...da oggi spazio dedicato alle parti più belle della nostra "bibbia"!!
spero che quelle che abbiamo scelto io e Giusy rientrino anche tra le vostre preferite!
morsetti a tutti!!!!
kiara e Giusy
quante volte avete letto i fantastici libri della zia Steph e vi siete soffermati a leggere e rileggere quelle poche righe? quante volte avete pesanto a quella scena che non ne vuole sapere di andarsene via dalla testa????
ebbene...da oggi spazio dedicato alle parti più belle della nostra "bibbia"!!
spero che quelle che abbiamo scelto io e Giusy rientrino anche tra le vostre preferite!
morsetti a tutti!!!!
kiara e Giusy
Fu in quel momento, seduta a pranzo, impegnata a conversare con setteestranei curiosi, che li vidi per la prima volta.Erano seduti nell'an
golopiù lontano e isolato della mensa. Erano in cinque. Non parlavano e nonmangiavano, benché ognuno di loro avesse di fronte a sé un vassoio pieno dicibo, intatto. Non mi stavano squadrando, a differenza della maggior partedegli altri studenti, perciò potevo osservarli tranquillamente, senzatemere di incontrare uno sguardo un po' troppo curioso. Ma non furono questiparticolari ad attirare, e catturare, la mia attenzione.Non si somigliavanoaffatto. Dei tre ragazzi, uno era grosso, nerboruto come un sollevatore di pesiprofessionista, i capelli neri e ricci. Uno era più alto e magro, ma comunquemuscoloso, biondo miele. Il terzo era smilzo, meno robusto, con icapelli rossicci e spettinati. Sembrava molto più giovane degli altri,che avrebbero potuto anche essere studenti universitari, o addiritturainsegnanti.Le ragazze erano sedute di fronte a loro. Quella più alta erastatuaria. Il genere di bellezza che si vede nei cataloghi di costumi dabagno, di quelle che infliggono duri colpi all'autostima delle altre donne.Aveva capelli dorati, che le accarezzavano la schiena con un'onda delicata.La ragazza più bassa era una specie di folletto, magrissima, dai tratti moltodelicati. I suoi capelli erano neri corvini, corti e scompigliati.Eppure,c'era qualcosa che li rendeva tutti somiglianti. Ognuno di loro era pallido comeil gesso, erano i più pallidi tra tutti gli studenti di quella città senza sole.Più pallidi di me, l'albina. Tutti avevano occhi molto scuri, a dispetto deldiverso colore dei capelli, e cerchiati da ombre pesanti, violacee, simili alividi. Quasi avessero tutti trascorso la notte senza chiudere occhio, o sistessero riprendendo da una rissa. Eppure, il resto dei loro lineamenti eradritto, perfetto, spigoloso.Ma non era questo il motivo per cui nonriuscivo a distogliere lo sguardo.Li fissavo perché i loro volti,così differenti, così simili, erano tutti di una bellezza devastante,inumana. Erano volti che non ci si aspetterebbe mai di vedere se non, forse,sulle pagine patinate di un giornale di moda. O dipinti da un vecchiomaestro sotto fattezze di angeli. Difficile decidere chi fosse il piùbello: forse la ragazza bionda e perfetta, forse il ragazzo con i capelli dibronzo.Tutti guardavano altrove, lontano dal loro tavolo, lontano daglialtri studenti, lontano da qualsiasi cosa, per quel che potevo capire.Mentre li osservavo, la ragazza minuta si alzò con il vassoio in mano - bibitaancora sigillata, mela senza l'ombra di un morso - e si allontanò con unafalcata veloce, aggraziata, da atleta. Meravigliata da quel passo di danza laguardai finché, rovesciato il contenuto del vassoio nella spazzatura, sparìdalla porta secondaria a una velocità impensabile. Il mio sguardo guizzò dinuovo sugli altri, seduti esattamente come prima.«E quelli chi sono?»,chiesi alla ragazza della lezione di spagnolo, di cui avevo dimenticato ilnome.Mentre lei alzava lo sguardo per capire di chi parlassi - ma forse peril mio tono di voce l'aveva già intuito -, lui la guardò, il più magro, il piùgiovane, quello con l'aria da ragazzino. Osservò la mia vicina per non piùdi una frazione di secondo, e poi i suoi occhi scuri lampeggiarono neimiei.Distolse lo sguardo all'istante, ancora più in fretta di me, cheavvampando dall'imbarazzo, chinai subito il capo. In quella fulmineaschermaglia di occhiate, la sua espressione rimase neutra, come se la mia vicinaavesse pronunciato il suo nome e lui avesse alzato gli occhi involontariamente,ma già deciso a non rispondere.La ragazza fece una risatina imbarazzata ecome me guardò verso il tavolo.«Sono Edward ed Emmett Cullen, assieme aRosalie e Jasper Hale. Quella che se n'è andata era Alice Cullen; vivono tuttiassieme al dottor Cullen e sua moglie», disse, con un filo di voce.Guardaidi sottecchi quel bel ragazzo, che ora osservava il proprio vassoio e faceva apezzi una ciambella con le dita lunghe e pallide. La sua bocca si muovevavelocissima, le labbra perfette si aprivano appena. Gli altri tre continuavano aguardare altrove, eppure mi sembrava che stesse parlando, piano, conloro.Nomi strani, poco diffusi, pensai. Nomi da nonni. Ma forse qui andavadi moda: nomi da cittadina di provincia? Infine ricordai che la mia vicinasi chiamava Jessica, un nome comunissimo. A casa avevo due compagne diclasse che si chiamavano Jessica.«Sono... molto carini», mi sforzai diminimizzare, ma non ero credibile.«Sì!», concordò Jessica con un'altrarisatina. «Però stanno assieme. Voglio dire Emmett e Rosalie, e Jasper e Alice.E vivono assieme». Nella sua voce si sentivano tutta l'indignazione e lacondanna della cittadina, così almeno sembrava al mio orecchio critico. Inrealtà, onestamente, dovevo ammettere che anche a Phoenix sarebbe stato unpettegolezzo ghiotto.«Quali sono i Cullen?», chiesi. «Non sembranoparenti...».«Oh, non lo sono. Il dottor Cullen è molto giovane, hatrent'anni, forse meno. Sono tutti figli adottivi. Gli Hale sì sono davverofratello e sorella, gemelli - i due biondi - e sono inaffidamento».«Sembrano un po' grandi per essere ancora inaffidamento».«Adesso sì, Jasper e Rosalie hanno diciotto anni, ma vivono conMrs Cullen da quando ne hanno otto. È una specie di zia o qualcosa delgenere».«È davvero un bel gesto... prendersi cura di tutti queiragazzi, nonostante siano giovani e tutto il resto».«Direi di sì»,ammise Jessica senza troppo entusiasmo, e mi fece intuire che per un motivo oper l'altro il dottore e sua moglie non le piacevano. A giudicare daglisguardi che lanciava ai loro figli adottivi, doveva essere una questione digelosia. «Comunque penso che Mrs Cullen non possa avere bambini»,aggiunse, come se ciò sminuisse la bontà della signora.Durante laconversazione, non potevo fare a meno di lanciare continuamente svelteocchiate al tavolo della strana famiglia. Continuavano a guardare il muro senzamangiare.«Hanno sempre abitato a Forks?», chiesi. Mi sarei certoaccorta di loro, durante una delle mie vacanze lì.«No», rispose lei, eil tono di voce sottintendeva che la risposta doveva essere ovvia anche peruna nuova arrivata come me. «Si sono trasferiti un paio d'anni fa, vengono da unqua che posto in Alaska».Istintivamente provai compassione e sollievo.Compassione perché, belli com'erano, restavano degli emarginati,chiaramente malvisti. Sollievo perché non ero l'unica nuova arrivata, né dicerto, e sotto nessun punto di vista, la più interessante.Mentre listudiavo, il più giovane dei Cullen alzò lo sguardo e incrociò il mio, estavolta la sua espressione era evidentemente incuriosita. Mi voltai discatto, e allora mi sembrò di notare che il ragazzo fosse stranamente sorpreso,quasi deluso.«Chi è quello con i capelli rossicci?», chiesi. Lo sbirciavocon la coda dell'occhio, lui continuava a fissarmi, ma senza squadrarmi comeavevano fatto tutti gli altri studenti. La sua espressione era leggermentefrustrata. Abbassai di nuovo lo sguardo.«Si chiama Edward. È uno schianto,ovviamente, ma non sprecare il tuo tempo. Non esce con nessuna. A quanto parequi non ci sono ragazze abbastanza carine per lui», disse, con aria didisprezzo. La volpe e l'uva. Chissà quando era toccato a lei essererifiutata.Mi morsi un labbro per non riderle in faccia. Poi guardai di nuovoverso il ragazzo. I suoi occhi erano rivolti altrove, ma le guance mi parveroalzarsi come se stesse ridendo anche lui.Dopo qualche minuto, i quattro sialzarono da tavola assieme. Tutti si muovevano con una grazia che richiamaval'attenzione, anche il più grosso e nerboruto. Osservarli era fonte diturbamento. Quello che si chiamava Edward non mi guardò più.

Bellissima qst scena...la + importante...
RispondiEliminacmq a me piace la scena qnd Ed kiede a Bella di accompagnarla a Seattle...
oppure il loro primo pranzo insieme...o la prima notte in cui hanno dormito insieme e lei si sveglia trovandolo sulla sedia a dondoloooo...
Adesso sto rileggendo x la 5 volta New Moon....!!!
Baciozzi a tuttee...e Morsetti