Buonasera vampirelle!
Bella sta per arrivare alla verità su Edward e la sua famiglia…ecco la prima parte della discussione rivelatrice.
Dopo averla salvata, Edward invita a cena Bella a Port Angeles. Al ristorante cominciano a parlare e presto verrà fuori tutta la verità…
Buona lettura con la nostra rubrica pioggia di parole!
Bella sta per arrivare alla verità su Edward e la sua famiglia…ecco la prima parte della discussione rivelatrice.
Dopo averla salvata, Edward invita a cena Bella a Port Angeles. Al ristorante cominciano a parlare e presto verrà fuori tutta la verità…
Buona lettura con la nostra rubrica pioggia di parole!

«Bella?», disse lui. La ragazza si voltò, suo malgrado, verso di me.
Scelsi il primo piatto che vidi sul menù: «Ehm... per me i ravioli ai funghi».
«E per te?», si rivolse a Edward con un sorriso.
«Per me niente», rispose lui. Come poteva essere altrimenti?
«Se cambi idea, fammi sapere». Il sorriso civettuolo era ancora al suo posto, ma Edward la ignorava, e lei si allontanò scontenta.
«Bevi», ordinò.
Assaggiai la bibita a piccoli sorsi, obbediente, ma poi me la gustai, sorpresa di quanto fossi assetata. Quando avvicinò il suo bicchiere mi accorsi che avevo prosciugato il mio.
«Grazie», mormorai, ancora assetata. Il freddo della bibita ghiacciata mi invase, e sentii un brivido.
«Hai freddo?».
«È la Coca», spiegai, presa da un altro fremito.
«Non hai un giubbotto?». Mi stava chiaramente rimproverando.
«Sì», mi voltai verso la sedia al mio fianco. «Oh... l'ho lasciato sulla macchina di Jessica».
Edward si sfilò il giaccone. Mi resi conto all'improvviso di non avere fatto caso al suo abbigliamento, non soltanto quella sera, ma sempre. Come se non ci fosse altro che il suo viso. Allora mi sforzai di osservarlo. Indossava una giacca di pelle beige, sopra un dolcevita bianco. Gli stava a pennello, metteva in risalto i muscoli del petto.
Quando mi offrì il giaccone, distolsi lo sguardo.
«Grazie», ripetei, infilandomelo. Era freddo... come la mia giacca a vento di mattina, dopo una notte sull'appendiabiti nell'umidità del corridoio. Rabbrividii ancora. Aveva un profumo straordinario. Lo annusai, cercando di identificare l'aroma delizioso. Non era dopobarba. Le maniche erano troppo lunghe: le arrotolai per scoprirmi le mani.
«Quel blu dona molto alla tua carnagione», disse, osservandomi. Mi sorprese, e abbassai lo sguardo, naturalmente rossa di vergogna.
Lui spinse il cesto del pane verso di me.
«Davvero, non sono in stato di shock», protestai.
«Dovresti: una persona normale reagirebbe così. Non sembri neanche scossa». Pareva insoddisfatto. Mi guardò negli occhi, e vidi quanto fossero chiare le sue iridi, più chiare e dorate del solito, caramellate.
«Vicino a te mi sento così sicura», confessai, di nuovo in balia del suo sguardo ipnotico.
Non approvò: la sua fronte di alabastro si aggrottò. Scosse la testa, corrucciato.
«È più complicato di quanto avessi immaginato», disse tra sé.
Presi un grissino e iniziai a sgranocchiarlo, valutando la sua espressione. Volevo capire quale fosse il momento giusto per iniziare con le domande.
«Di solito quando hai gli occhi così chiari sei di buonumore», commentai, cercando di distrarlo da ciò che lo aveva reso tanto cupo e pensieroso.
Mi guardò sbalordito. «Cosa?».
«Quando hai gli occhi neri sei sempre intrattabile, almeno così mi pare. Ho una teoria».
Socchiuse gli occhi. «Un'altra?».
«Già». Sgranocchiai ancora un po' il grissino fingendo indifferenza.
«Spero che stavolta tu sia un po' più fantasiosa... o hai preso ancora ispirazione dai fumetti?». Accennò un sorriso di scherno, ma lo sguardo era ancora tirato.
«Be' no, non ho copiato dai fumetti, ma non è neanche un'invenzione mia».
[…]
«Ti dirò tutto in macchina. Se...».
«Ci sono delle condizioni?». Alzò un sopracciglio e parlò in tono minaccioso.
«Anch'io ho qualche domanda da farti, ovviamente».
«Ovviamente».
La cameriera tornò con le nostre bibite. Le servì senza dire parola e se ne andò.
Ne presi un sorso.
«Be', vai avanti», incalzò lui, senza nascondere il nervosismo.
Esordii con la domanda meno maliziosa. Almeno, così mi sembrava. «Cosa sei venuto a fare a Port Angeles?».
Lui fissò il tavolo, e giunse le grandi mani. Mi fulminò con un'occhiata da sotto le ciglia, l'ombra di un sorriso sul suo volto.
«La prossima».
«Ma questa era la più facile».
«La prossima», ripeté.
Io abbassai gli occhi, frustrata. Tolsi le posate dal tovagliolo, afferrai la forchetta e infilzai con cura un raviolo. Masticai il boccone lentamente, a occhi bassi, e nel frattempo riflettevo. I funghi erano buoni. Ingoiai, bevvi un altro sorso di Coca, infine sollevai di nuovo gli occhi.
«D'accordo», lo inchiodai con uno sguardo e proseguii lentamente. «Diciamo - per ipotesi, certo - che... qualcuno... sia capace di leggere la mente, i pensieri altrui, ecco... con qualche eccezione».
«Una sola eccezione», precisò lui, «per pura ipotesi».
«Va bene, con una sola eccezione». Ero contenta che stesse al gioco, ma mi sforzai di rimanere sul vago. «Come funziona? Che limiti ci sono? Come può quel... qualcuno... trovare una persona nel posto e nel momento giusto? Come fa ad accorgersi che è in pericolo?». Mi chiedevo se le mie domande contorte avessero un chiaro significato.
«Per ipotesi?», chiese.
«Certo».
«Be', se... quel qualcuno...».
«Chiamiamolo Joe», suggerii.
Accennò un sorriso. «Vada per "Joe". Se Joe avesse fatto attenzione, non sarebbe stato necessario essere tanto tempestivi». Scosse la testa e alzò gli occhi al cielo. «Solo tu sei capace di cacciarti nei guai in una città così piccola. Sai, eri sul punto di rovinare un decennio intero di statistiche locali sulla criminalità».
«Stavamo parlando di una situazione ipotetica», precisai gelida.
Rise, il suo sguardo si era fatto più caldo.
«Sì, certo. La chiamiamo Jane?».
«Come facevi a saperlo?», chiesi, incapace di contenermi. Mi stavo di nuovo sporgendo verso di lui.
Sembrava vacillare, tormentato da un qualche dilemma interiore. Il suo sguardo s'incatenò al mio, e intuii che proprio in quel momento stava decidendo se raccontarmi la verità e farla finita.
«Di me ti puoi fidare, già lo sai», sussurrai. Mi feci avanti, senza pensarci, per toccare le sue mani giunte, ma lui le spostò impercettibilmente indietro, e rinunciai.
«Non so se ormai mi resta altra scelta». La sua voce era quasi un sussurro. «Mi sbagliavo, sei molto più leale di quanto ti avessi giudicata».
«Pensavo che avessi sempre ragione».
«Una volta era così». Scosse di nuovo la testa. «Mi sbagliavo anche a proposito di un'altra cosa. Non sei una calamita che attira incidenti, è una classificazione troppo limitata. Tu attiri disgrazie. Se c'è qualcosa di pericoloso nel raggio di dieci chilometri, puoi scommettere che ti troverà».
«Tu rientri nella categoria?».
La sua espressione si fece impassibile, neutra. «Senza alcun dubbio».
Cercai di nuovo la sua mano, incurante della reazione, e ne toccai il dorso con la punta delle dita. La pelle era fredda e dura come la pietra.
«Grazie», la mia voce tremava di gratitudine, «con questa sono due».
Si rilassò. «Facciamo in modo che non ci sia un tre, d'accordo?».
Mio malgrado, annuii. Allontanò la mano per nasconderla sotto il tavolo assieme all'altra. Poi però mi si avvicinò.
«Ti ho seguita fino a Port Angeles», confessò, parlando in fretta. «Non ho mai tentato di salvare la vita a una singola persona prima d'ora, ed è un'impresa molto più fastidiosa di quanto credessi. Ma probabilmente dipende anche da te. Le persone normali riescono a tornare a casa ogni sera senza scatenare tante catastrofi». Fece una pausa. Mi chiedevo se il pedinamento avrebbe dovuto farmi sentire a disagio; in realtà, mi sentivo stranamente lusingata. Lui mi fissava, forse non capiva perché le mie labbra si stessero curvando in un sorriso involontario.
«Hai mai pensato che forse la mia ora doveva suonare già la prima volta, con l'incidente del furgoncino, e che tu hai di fatto interferito con il destino?». Cercai di distrarmi con quella riflessione.
«Quella non era la prima volta», disse, e fu difficile riuscire a sentirlo. Lo fissai, stupita, ma lui teneva gli occhi bassi. «La tua ora è suonata quando ti ho conosciuta».
A queste parole fui assalita da un crampo di paura, e dal ricordo improvviso del suo sguardo nero e violento, il primo giorno... ma l'invincibile sensazione di sicurezza che provavo accanto a lui mise a tacere ogni timore. Quando alzò gli occhi, nei miei non vide più alcuna traccia di terrore.
«Ti ricordi?», chiese, con un velo di serietà su quel viso d'angelo.
«Sì». Ero calma.
«Eppure, eccoti seduta qui», disse alzando un sopracciglio, nella sua voce si sentiva un'ombra di incredulità.
«Si, sono seduta qui... grazie a te». Feci una pausa. «Perché in qualche modo sapevi dove trovarmi oggi?».
Serrò le labbra e mi fissò, accigliato, di nuovo incerto se dire o no la verità. Il suo sguardo si posò per un istante sul piatto pieno, poi su di me.
«Tu mangi, io parlo», negoziò.
Infilzai subito un altro raviolo e lo inghiottii svelta.
«È più difficile di come dovrebbe essere... non perdere le tue tracce. Di solito sono in grado di individuare le persone con molta facilità, mi basta sentire la loro mente una volta sola». Mi guardò impaziente, e mi resi conto di essermi immobilizzata. Mi sforzai di ingoiare il boccone, trafissi un altro raviolo e iniziai a masticarlo.
«Tenevo d'occhio Jessica distrattamente - come ti ho detto, solo tu riesci a metterti nei guai a Port Angeles - e all'inizio non mi sono accorto che avevi proseguito da sola. Poi, quando ho capito che non eri più con lei, sono venuto a cercarti nella libreria che ho visto nei suoi pensieri. Ho intuito che non c'eri entrata, che ti eri diretta a sud... E sapevo che prima o poi avresti dovuto tornare indietro. Perciò ti stavo aspettando, cercandoti qui e là tra i pensieri dei passanti, nel caso che qualcuno ti avesse incrociata. Non c'era motivo di preoccuparmi... ma sentivo una strana ansia...». Era perso nel suo racconto, fissava il vuoto alle mie spalle: vedeva cose che non potevo immaginare.
«A quel punto ho iniziato a girare in tondo, restando... in ascolto. Fortunatamente il sole stava tramontando, così avrei potuto scendere dall'auto e seguirti a piedi. E poi...». Si arrestò, stringendo i denti all'improvviso, furioso. Si sforzò di restare calmo.
«Poi cosa?», sussurrai. Continuava a fissare il vuoto dietro la mia testa.
«Ho sentito cosa stavano pensando», ringhiò, arricciando il labbro superiore sopra i denti. «Ho visto il tuo volto nei loro pensieri». Scattò in avanti, poggiò un gomito sul tavolo, la mano sugli occhi. Il movimento fu talmente repentino da farmi sobbalzare.
«È stato molto... difficile - tu non puoi immaginare quanto - limitarmi a portare via te e risparmiare loro... la vita». La sua voce era smorzata dal braccio che aveva davanti. «Avrei potuto lasciarti rientrare assieme a Jessica e Angela, ma temevo che se fossi rimasto solo sarei tornato a cercarli», ammise, sottovoce.
Restai in silenzio, sconvolta, la testa piena di pensieri incoerenti. Tenevo le mani in grembo e mi appoggiavo a stento contro lo schienale della sedia. Lui nascondeva ancora il viso nella mano, tanto immobile da parere scolpito nella roccia a cui somigliava la sua pelle.
Alla fine alzò lo sguardo, in cerca del mio, deciso a fare le sue domande.
«Sei pronta per tornare a casa?».
«Sono pronta per andare via di qui», precisai, palesemente soddisfatta che ci restasse un'ora abbondante di viaggio, per raggiungere Forks. Non ero ancora pronta per salutarlo.
La cameriera riapparve, come se l'avessimo chiamata. O come se ci avesse tenuti d'occhio.
«Come andiamo?», chiese a Edward.
«Siamo pronti per il conto, grazie». Ora la sua voce era più debole e stanca, segnata dallo sforzo della conversazione. La cameriera ne rimase disorientata. Lui alzò lo sguardo, in attesa.
«C-certo», balbettò lei, «ecco qui». Estrasse una cartellina di cuoio dalla tasca anteriore del grembiule nero e gliela porse.
Edward aveva già preparato una banconota. La infilò nella cartellina e la restituì alla cameriera.
«Niente resto», le sorrise. Poi si alzò e io lo seguii, inciampando nei miei piedi.
Lei gli si rivolse con l'ennesimo sorriso tentatore: «Buona serata a voi».
La ringraziò senza staccarmi gli occhi di dosso. Io sorridevo sotto i baffi.
Camminò al mio fianco fino alla porta, vicinissimo eppure attento a non toccarmi. Ricordai ciò che Jessica aveva detto della sua relazione con Mike, di come fossero quasi alla fase del primo bacio. Sospirai. Probabilmente Edward mi sentì, perché mi guardò curioso. Abbassai gli occhi sul marciapiede, lieta che non fosse capace di leggermi nel pensiero, dopotutto.
Aprì la portiera e attese che salissi in auto, dopodiché la richiuse dolcemente. Lo guardai camminare di fronte alla macchina, stupefatta per l'ennesima volta di quanto fosse aggraziato. Ormai avrei dovuto esserci abituata, e tuttavia non era così. Avevo la sensazione che Edward fosse il genere di persona a cui era impossibile abituarsi.
Salito in auto, mise in moto e alzò il riscaldamento al massimo. La temperatura era scesa, probabilmente il maltempo stava tornando. Il suo giaccone mi teneva caldo, però, e quando sembrava che lui non mi notasse respiravo il suo profumo.
Edward si inserì nel flusso del traffico, quasi senza guardarsi attorno, scartando e svoltando bruscamente fino a imboccare l'autostrada.
Quando riaprì bocca, fu molto eloquente: «Adesso tocca a te».
Alla prossima con la discussione di Edward e Bella in auto!
Morsetti!
Giusy;*
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