
L’ultima sera. L’ultima. Aggettivo azzeccato, se si considera che non potrò mai più vederla. Era l’ultima occasione per averla vicino a me, per sentirla, ancora una volta. L’indomani, non avremo potuto, di fronte a tutti, dirci addio come avremmo voluto.
La festa era finita, e gli invitati, compresa lei con tutto il seguito, erano tornati a casa. Sarebbe sbagliato chiamare “voglia” il desiderio che avevo di andare sotto la sua finestra. Il termine più appropriato sarebbe “bisogno”. Un bisogno insostenibile, esistenziale, che mi vietavo di accontentare solo perché lei me lo aveva vietato. Suo padre mi avrebbe bruciato vivo solo se mi fossi avvicinato a casa sua, tanto era il collera con me. Non che mi importasse di morire in quel momento, s’intende. L’unica preoccupazione era rivedere Isabella soffrire.
E sarei stato premiato. Ci eravamo accordati che sarebbe venuta lei, verso notte fonda. Le avevo chiesto perché non potessi venire io, a patto che sarei stato discreto in tutto e per tutto. Lei aveva rifiutato, dicendo che suo padre l’avrebbe controllata tutta la notte, e che solo lei sapeva come fuggire. Avevo accettato, se questo significava vederla.
A separarci da questo ultimo incontro, un paio d’ore in cui avrei dovuto aiutare mia madre a dare una sistemata alla casa dopo quella cena onirica. Ma non riuscii ad alzare un dito dal divano, e lei sembrò capire. Ero irrequieto.
Le avevo raccontato tutto, ovviamente. Non si era dimostrata troppo contenta. Secondo lei ci stavamo solo facendo più male del dovuto, ma non lo vietò.
Un eternità dopo il mio più recente sospiro, due sassolini alla finestra del salone mi ridestarono dal mio tepore. Mi alzai di corsa dal divano e andai alla porta.
Si stava sfilando il cappuccio della mantella blu dalla testolina esile, e mi sorrise non appena mi vide. Non potei non ricambiare, anche se con meno entusiasmo.
La presi per mano e, senza dare conto a mia madre che ci guardava sconvolta, la guidai alla porta della mia camera al piano di sopra. Prima di entrare, indugiò titubante. Io la presi con delicatezza e la trascinai dentro, prima di chiudere la porta.
Sembrava spaesata.
“Ho intenzione di lasciare tutti fuori, stasera. Non pensare a tuo marito, all’esercito, a niente. Io penserò a te, e tu a me”, dissi poi.
“È strano essere qui. Tu non hai mai visto la mia stanza”, mi rispose, cambiando totalmente argomento. E mise uno dei più bei finti bronci del mondo.
Le andai incontro, e cominciai a farla ridere facendole il solletico suo collo. La sua risata, così pulita e cristallina, era tale e quale a quella di una bambina felice. Anche lei mi si buttò addosso ridendo, con una nota di tristezza nella risata, questa volta. Chissà cosa pensava mia madre di sotto, sentendoci.
Isabella cadde sul letto, da cui si ridestò subito, cercando di sistemarsi i capelli, che circondavano un sorriso ammaccato. Mi sistemai accanto a lei, comprendendo che il momento di spensieratezza era finito.
Aveva ancora le guance accaldate per il contatto di poco prima, mentre si sistemava alla meno peggio i vestiti. Ovviamente, non era stata abituata a stare così vicina ad un uomo.
Ci fu un momento di silenzio, in cui lei cercava di riacquistare un po’ di contegno e io mi aggiustavo la camicia.
“Comunque ti sbagli” dissi, rompendo la tranquillità.
“Su cosa?”, rispose, negandomi il suo sguardo e fingendo noncuranza.
“Sul fatto che io sia stato o meno in camera tua. Ci sono stato, ma tu dormivi”. Le sorrisi, vedendo che l’avevo colta di sorpresa.
“Ti ho stretto la mano, ad un certo punto?” mi domandò.
“Si..” e lei sorrise “sono stato da te per tutta una notte, in cui non ho chiuso occhio”, risi leggermente.
“Credo di essermi accorta di te, in qualche modo”.
“Ci speravo. Non sai che strano parlarti e guardarti nei giorni successivi. Era insopportabile sapere di essere l’unico consapevole di aver passato una intera notte nello stesso letto”.
“Non hai temuto mio padre? A quel punto, non so cosa sarebbe stato peggio: andare nell’esercito oppure essere scoperto durante la notte nel letto di una ragazza incosciente..” suppose.
“Ma non ho fatto niente di male!” esclamai con finta indignazione.
“Io questo lo so. Ma devi ammettere che una persona estranea ne sarebbe orripilata, come minimo, considerando l’epoca di malcontento in cui viviamo”, mi rispose, nella voce un tono di giocosità, per la prima volta.
“Ripensandoci ora, lo rifarei. Queste due settimane, tutto quello che ci siamo detti.. ne valeva la pena. Vivere questo momento è una delle cose più belle della mia vita” conclusi.
E lei riprese, dopo pochissimi secondi di pausa: “E quale sarebbe la cosa più bella tra tutte?”.
“Direi che tu stai scalando molto rapidamente la classifica” ammisi.
Lei sorrise maliziosa. Mi avvicinai a lei, e la nostra pelle ormai si sfiorava. Quanto avrei voluto tenere la sua mano nella mia! Accostai le dita al suo profilo, proprio vicino al ginocchio, e lei appoggiò le dita sulle mie. Ero così strano stare con una donna così. Ero contento che lei fosse la prima e l’ultima.
“Ci sarai domani?” chiesi. Non ero sicuro di volerla vedere mentre me ne andavo.
“Non ne sono sicura. Stasera volevo vederti proprio per questo, perché non è certo che ci sarò. O perlomeno, non da sola”. La fine della frase era poco più di un sussurro. Non l’avevo ricordato prima: lei era fidanzata ufficialmente. Ero stato così bravo a promettere di lasciare tutto fuori dalla porta che avevo dimenticato completamente questo dettaglio non proprio trascurabile. Se sarebbe venuta, sarebbe stato non per me, ma per il suo fidanzato e futuro marito. Dovevo avere un viso contratto dal dolore, perché Isabella mi circondò con le sue braccia ossute ed esili, ma che mi marchiavano la pelle come fuoco.
Il suo braccio finì sotto il mio mento e, senza pensarci, la sfiorai con le labbra proprio in quel punto. Toccare la sua pelle in quel modo del tutto nuovo fu per me solo fonte di confusione e di desiderio. Fu una sensazione stranissima, che la mia mente chiedeva di ripetere. Così, senza farlo consciamente, ripoggiai le labbra sul suo braccio. Notai solo dopo che le avevo provocato la pelle d’oca, ma questo non mi fermò. La sentivo immobile, forse perché temeva di rovinare quel momento.
Continuai a baciarla lungo tutto il suo fragile braccio, fino a che arrivai alla clavicola. Lei poggiò la testa sopra i miei capelli, e la sentii sorridere.
La scostai da me, ma solo per metterle le mani sul viso. Di nuovo, un brivido mi percorse la schiena. La guardai a lungo, prima di cominciare ad avvicinarmi a lei. Fremevo.
Sotto le miei mani, il suo viso prese fuoco. Poi, anche lei si avvicinò cautamente a me. Ormai solo pochissimi millimetri ci separavano. Avrei voluto che fosse lei a fare l’ultimo passo, cosicché non mi sembrasse di averla costretta a farlo. Ma lei era immobile, e tratteneva il respiro.
Stavo per allontanarla da me, quando lei sospirò, e il suo dolce respiro si posò su di me. E persi il controllo.
Ricoprii quei pochi millimetri tra la sua bocca e la mia e poggiai la mano dietro la sua nuca, per tenerla salda a me.
Al momento del contatto, fummo travolti entrambi. Sapevamo di fare qualcosa di sbagliato, di ingiusto, qualcosa per cui la nostra testa ci diceva di smettere. Era una forza poco promettente, a confronto del desiderio che ci obbligava a non dividerci.
All’interno della mia testa, un vortice di pensieri spazzava tutto quello che si trovava davanti, privandomi della ragione. Il bisogno di lei, che mi stava facendo commettere un crimine. La paura, che mi impediva di godermi a fondo quel momento. Ma di tutto questo mi importava poco; volevo solo essere con lei.
Quando la sentii ansimare, la lasciai andare. Non le avevo ancora tolto le mani di dosso, che mi costrinse di nuovo vicino a lei; e, non si sa come, ci ritrovammo nuovamente con la labbra incollate. Mi resi conto improvvisamente di quanto erano soffici le sue labbra, di quanto era delicato il suo tocco. Delle sue labbra che si muovevano in sincrono con le mie. Un miracolo.
Poco dopo, fui io ad allontanarmi per riprendere fiato. Lei si accomodò vicino a me, rossa come un peperone.
Non dicemmo niente per alcuni minuti, fino a che io non proclamai la cosa più vera del mondo:
“Ti amo”, sussurrai.
“Anche io”.
Al prossimo capitolo!
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