martedì 8 dicembre 2009

Until The Time Is Through cap 10!

Buonasera e felice giorno dell'Immacolata Concezione!

Come ogni martedì, ecco a voi la fanfiction "Until The Time Is Through", che oggi festeggia il suo decimo capitolo! La fine è ancora lontana, e vi raccomando ancora di commentare!
Buona lettura!


“Eccoci” annunciai, sottovoce.
Ci trovavamo davanti ad un complesso enorme in mattoni rossi, dove ragazzi in divisa vagavano qua e là. La caserma era più invitante di quanto avessi mai pensato. Negli ultimi tempi, con l’amore per la mente, avevo dimenticato quanto mi sarebbe piaciuto godere anch’io della gloria portata dalla tuta mimetica e dalla guerra; questo era il mio sogno fino ad alcune settimane prima. Sapevo di non poter sposare Isabella, e questo mi riportava al piano precedente. Ovviamente non l’avrei dimenticata, anche perché l’amore che provavo per lei era inimmaginabile. Sarebbe stata una distrazione, però, sul campo d’armi.
“Nome?”, mi risvegliò un voce cupa, senza tonalità. Alzai il volto, e vidi che un cadetto, grosso più o meno quanto un armadio mi stava davanti.
“Edward Anthony Masen”, risposi con voce ostinatamente sicura.
“Desideri?”
“Sarebbe possibile parlare con il sergente David Smith?” domandai, esitante.
Mi rispose con un’espressione strana, dispiaciuta. Lo vidi guardarsi intorno, e il suo sguardo cadde su mia madre, che stava leggermente dietro di noi, timorosa. Anche il modo in cui si atteggiava cambiò: si comportava non più con sufficienza e con maniere rudi, ma sembrava interessato.
“è mia madre” chiarii io, tagliando corto, dato che guardava ancora mia madre.
Quando si sentii nominata, barcollò verso di noi. Solo quando fu vicinissima, il cadetto ricominciò a parlare.
“Sono terribilmente dispiaciuto di comunicarvi che il generare Smith è deceduto poco tempo fa in un’azione di guerra. Voi siete familiari?”
“Amici. Solo amici” chiusi io il discorso.
“Sono spiacente. La famiglia è stata già avvertita alcune settimane orsono, se vi interessa” balbettò e, dopo pochi secondi, se ne andò.
Il viso di mia madre,fino a poco prima tranquillo, adesso era lo specchio del terrore. Le misi un braccio dietro la schiena, così da poterla sorreggere. La trascinai in macchina, dove a stento scambiammo poche parole. L’unico segno di sopravvivenza da parte sua era il respiro a volte calmo, a volte affannoso.
Arrivammo a casa, e mi chiese se potessi portarla a letto. Una volta nella sua camera, la lasciai adagiarsi sulle lenzuola, e io mi sistemai davanti al letto, per osservarla. Non sembrò accorgersi di me, anche perché prese sonno quasi subito.
Il suo viso era contratto, segno che anche durante il sonno gli incubi non le lasciavano spazio per stare tranquilla. La bocca piegata in un amabile broncio, espressione che doveva aver fatto cadere ai suoi piedi tanti baldi giovani, a suo tempo.
Solo quando la vidi di rilassarsi, mi permisi di tornare nella mia camera. L’ordine che avevo lasciato lì dentro era terrorizzante. Sembrava fossi già partito. Piano piano mi abituai al buio, e riuscii a scorgere meglio i contorni. Il letto, perfettamente sistemato, urlava già la mia assenza.
“E così, tra due settimane mi arruolo. Fantastico” dissi a me stesso. Dopo tutti gli sforzi di mia madre per farmi evitare la guerra, anche la mia ultimissima speranza era scomparsa.
“L’unica cosa che posso fare è cercare di rimanere in vita, pure quando mi manderanno contro le schiere nemiche”.
Ma chi volevo prendere in giro? Quanti uomini- e si parla di uomini, non diciassettenni- erano sopravvissuti in passato alla guerra?
Uno su un milione.
Eppure, pensò la parte ottimistica di me, IO dovevo essere quell’uno. Per me stesso. Per mia madre. Per Isabella.
Già, Isabella. La donna che amavo di più al mondo e che non potevo vedere. Che illuso che ero stato a dirmi che sarei riuscito a vivere senza di lei. Sol otre giorni erano passati da quando l’avevo vista. Che non ammiravo la sua bocca, le sue lunghissime ciglia, il candore delle sue guance.
Se solo avessi avuto più tempo, quante cose le avrei detto.
Fui immobilizzato da una dura verità, che mi mozzò il fiato per la sua durezza.
Probabilmente non l’avrei mai più rivista.

Buona giornata!

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