martedì 24 novembre 2009

Until The Time Is Through cap 8!!

Buonasera twilighters!!

Ecco l'ottavo capitolo della fanficion Until The Time Is Through. Vi auguro buona lettura, e vi aspetto numerosi nei commentiii!!!



Mai avrei potuto essere così presuntuoso. Mi ero ripromesso di non cercarla, di non provare ad avvicinarmi a casa sua. Di non pensarla ogni minuto della mia vita.
Sapevo ch era impossibile far finta che non esistesse. Non che non cercassi si pensare ad altro, s’intende. Ne avevo di pensieri, eccome.
Il primo sulla lista, dopo Isabella, era come ottenere un rinvio per l’arruolamento dell’esercito. Speravo in una breve conclusione della guerra, così da poter evitarla completamente. D’altronde, l’America era entrata così tante volte in guerra prima di allora, per poi tornarne fuori quasi illesa. Poteva essere così anche questa volta. Doveva esserlo, anche perché non osavo pensare a mia madre, di nuovo da sola in quella casa, senza un uomo a proteggerla. Proprio lei appariva ancora scossa da quello che era successo un paio di notti prima, che vedeva come risultato il mio mancato matrimonio.
Ci aveva sperato, ed era quasi fatta. Ed io avevo rovinato tutto, dandole un altro motivo per non dormire la notte, che passava a pregare per me.
La mia ultima bellissima carta era Isabella, e me l’ero giocata male, come un incallito giocatore di carte che non è in grado di fare la faccia da poker. Mi venne un colpo solo ad evocare il suo volto tra i miei pensieri.
Mi sistemai davanti alla finestra che, in quegli ultimi giorni, era stata la mia postazione preferita.
Non guardavo niente, non riuscivo a vedere niente. Tutto mi appariva sfocato.
Forza Edward, sii uomo e valla a cercare.
Resta dove sei, hai già fatto troppi danni, mi disse la parte ragionevole di me, mentre l’altra protestava. Avevo una voglia indescrivibile di vederla. Chissà come avrebbe reagito, nel vedermi spuntare nel suo balconcino, sorridendole. Avrebbe gioito? Si.
Guardai l’ora. Quasi mezzanotte. Possibile che ci dovessimo vedere sempre e solo di sera?
Scesi al piano di sotto, dove mia madre era appisolata sul divano. Poggiai un piccolo bacio sulla sua fronte, prima di uscire nella notte, come un spettro.
Come sempre, guardarmi intorno era d’obbligo.
Un piccolo rivolo d’acqua mi scivolò accanto, senza bagnarmi. Seguii la sua scia, che proveniva da un tombino al bordo della strada, sul marciapiede. Chissà cosa c’era dentro. Per quanto la domanda mi allettasse, non esitai e in cinque minuti ero sotto il suo balcone. E questa volta era il balcone pieno di fronzoli giusto.
Annusai l’aria, e venni investito dal suo inconfondibile odore, che aveva impregnato l’aria: fresia con una spruzzata di miele.
Con la massima leggiadria che mi era consentita, mi arrampicai su per il balcone facendo leva sulle gambe, poggiate sull’albero del giardino.
Arrivato in cima, con un salto finii sul balcone, dove controllai eventuali contrattempi ai vestiti. Tutto perfetto.
Acquattato come un ladro, posai la mano sulla maniglia della porta- finestra, quand’essa di aprii senza essere forzata. In quel momento, la vidi.
Stava dormendo. Tutta accovacciata tu se stessa, era intrecciata ad una coperta azzurro cielo, che si era adattata alle sue forme. Le gambe, lisce e perfette, era chiuse sulla pancia, coperta da una brutta camicia da notte. Perfettamente immobile, Isabella sembrava che neanche respirasse.
Entrai prima un piade poi l’altro, in modo da non fare rumore. Prima di arrivare al letto, mi concessi un giro per la stanza. Era azzurra, come la coperta. Spoglia, tranne per gli unici mobili che erano il letto a baldacchino, la scrivania spaziosa, e una poltrona. L’armadio, questa volta beige, era semplice, a due ante. Lo aprii, e notai con meraviglia che lì il suo odore era ancor più forte. Passai la mano tra i suoi vestiti, gustando la sensazione del contatto delle stoffe con la pelle. Usava molto il velluto, potei vedere.
Mi spostai alla scrivania, dove vidi alcuni fogli sparsi da una parte e dall’altra del tavolo. La sua scrittura, così ordinata e così precisa, si era soffermata di più in alcuni punti, ed il suo tocco gentile non era riuscito a cancellare completamente alcune parole. In qualche modo, riuscii a non toccare niente. Lei non doveva sapere che ero stato lì.
Posato sulla scrivania, un vaso colmo di erbette dallo stelo lungo faceva da contenitore al fiore che le avevo regalato al nostro primo incontro. Lo aveva conservato. Tirai un sospiro.
Tornai al letto con lo sguardo, per controllare che non si fosse svegliata. Per fortuna no. Mi adagiai accanto a lei, con la delicatezza di una farfalla, in modo da non disturbarla nei suoi sogni. Non osavo manco toccarla.
Il desiderio di farlo era inimmaginabile. I suoi capelli fini mi sfioravano il braccio, facendo aumentare il desiderio. Ero teso, pronto a scattare nel caso fossi stato scoperto. Da suo padre, o da lei.
Ma era inutile fare congetture di fuga, quando l’unica cosa che desideravo era stare accanto a lei. E che il mio bisogno di toccarla mi stava facendo quasi tremare. Era troppo, basta.
Avvicinai lentamente le dita alle sue, stringendole. Appena le nostre dita si sfiorarono, lei rabbrividì; avevo le dita più fredde delle sue, per via della temperatura esterna.
Ma non ritrasse la mano, e io potei poggiare tutto il palmo della mano contro il suo, sicuro che non l’avrebbe lasciato.

Durante la notte, cambiò frequentemente posizione. Mi sorprese quando cominciò a farsi più vicina a me.
In un primo momento, aveva appoggiato il viso semplicemente tra la mia clavicola e l’orecchio, forse scambiandomi per un cuscino un po’ più duro del solito. Sentivo il suo leggero respiro sul collo, e la voglia di svegliarla cresceva.
Poi, come se non bastasse, dopo pochi minuti, appoggiò la testa sul mio petto, facendo finire i capelli solo il mio naso.
Se suo padre fosse entrato in quel momento, non avrei visto più il sole sorgere.
Rimasi sveglio tutta la notte, sperando e temendo il suo risveglio. Ogni volta che Isabella cambiava posizione, il sangue pompava più veloce nelle vene.
Rimanevo combattuto, se andarmene prima che lei aprisse gli occhi o dopo.
Non riuscii a rimanere molto a lungo, quando vidi albeggiare attraverso le tende alle finestre.
Feci in modo di non svegliarla quando mi sfilai dal letto e fuggii dalla luce del sole sorgente.
Mi soffermai altri lunghissimi momenti ad osservarla sull’uscio del balcone, pregando con tutto me stesso che mi vedesse, prima che me ne fossi andato. Non volevo essere l’unico che avesse avuto dei ricordi di quella notte meravigliosa. Ma lei non si svegliò, neanche mentre mi chiudevo la porta alle spalle.
Mentre mi calavo dalla staccionata del balcone, la vidi stiracchiarsi, segno del suo imminente risveglio.


Buona serata e al prossimo Martedì!!

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