martedì 13 ottobre 2009

Until The Time Is Through capitolo 3!

Buon pomeriggio!
Una giornata intensa eh?

Vi posto il nuovo capitolo della mia fanfiction, Until The Time Is Through. Spero vi siano piaciuti i primi due capitoli, e vi assicuro che andando avanti sarà più interessante.

Mi raccomando, commentate numerosi! Voglio le vostre opinioni!

Enjoy!


“Madre, questi vestiti vanno bene per un appuntamento galante?” Mi mostrai a mia madre, evidenziando il mio abbigliamento scelto appositamente per l’occasione. Ne fu entusiasta.
“Hai lo stesso gusto nel vestire che aveva tuo padre da giovane. Sei perfetto”, mi disse, orgogliosa.
Mi guardai allo specchio, prima di varcare la porta della cucina per raggiungerla.
Indossavo una camicia bianca, con sopra una giacca blu. Anche i pantaloni era blu, dato che facevano parte del completo. Avevo fatto il possibile per attenermi al tipo di abbigliamento richiesto quando si andava in uno dei teatri più eleganti dell’intera Chicago.
Qualche giorno prima, infatti, avevo avuto il coraggio di invitare Isabella a vedere un’opera teatrale con me. Da soli. E lei aveva accettato.
Ovviamente mia madre era stata prontamente informata dell’accaduto dalla signora Hart, la donna più pettegola che avessi mai conosciuto.
Infilai i gemelli nei buchi della camicia ed entrai in cucina.
Appena vidi mia madre ai fornelli, andai subito in suo aiuto. Non per qualcosa, ma lei, di cucinare, non ne sapeva niente. Certo, se la cavava piuttosto bene con i piatti semplici, senza impegno. Quando invece cercava di cimentarsi in qualcosa di più complicato, per me erano dolori.
“Lasciate fare a me” le dissi, facendola delicatamente scostare dai fornelli. Stava cucinando l’anatra all’arancia per gli ospiti di quella sera, che sarebbero dovuti arrivare da un momento all’altro.
Argutamente, mia madre aveva pensato di invitare gli Hart a casa, mentre io ed Isabella saremmo stati a teatro. Era ovvio che l’argomento della serata saremmo stati noi.
Appena finii di sbucciare l’arancia, le lasciai il posto, le detti un bacio leggero sulla fronte e me ne andai.
Era un’occasione speciale: avevo pensato che farla sentire una principessa sarebbe stato magico, e non lo avrebbe dimenticato mai.
Avevo affittato una vecchia carrozza decorata con merletti laccati d’oro, proprio per ricreare l’effetto fiabesco. L’avrei condotta a teatro come fosse la regina d’Inghilterra. Anzi, la mia regina.
Mi sistemai al posto del cocchiere e presi le redini. Avrei voluto avere davanti due cavalli da traino bianchi, ma quando lo chiesi al contadino che mi aveva affittato il mezzo, mi rise in faccia. In effetti, non si poteva avere tutto.
Arrivai a casa Hart dopo pochi minuti di viaggio tranquillo. Durante tutto il tragitto, avevo attirato l’attenzione dei vicini con il mio cocchio, e si erano affacciati tutti dai balconi per osservarmi. Una bambina, tra tutti, tirava la giacca al padre ,indicandomi.
L’unica luce accesa in casa era in camera sua. La vedevo attraverso la finestra a vetri vestirsi, indecisa se mettere o no la collana di perle. Come sospettavo, scelse di lasciare il collo libero, optando per la semplicità.
Finché non la vidi affacciarsi dalla finestra, non riuscii a suonare il campanello. Non volevo si agitasse per il suo lieve ritardo.
Neanche due minuti dopo, eccola spuntare dalla porta, più bella della luna, quella sera. Avevo avuto ragione, la prima volta, quando avevo notato la piccola luce che irradiava la pelle candida di Isabella. Alla luce della luna, era ancora più evidente.
Era bellissima. Istintivamente, mi chinai verso terra, in un teatrale inchino. Senza abbandonare il suo sguardo.
“Che state facendo?” mi chiese, ostentando un mezzo sorriso.
“Mi inchino alla vostra bellezza, mia signora. Stasera, la Luna si dovrà nascondere dalla vergogna, di fronte a voi”.
“Alzatevi, vi prego. Mi lusingate troppo”, rise lei. Mi porse la mano, così che io potei baciarla. La scortai fino alla carrozza. Quando la vide, la bocca le si aprì leggermente, e le pupille le si dilatarono. L’avevo colta di sorpresa.
“Posso aiutarvi a salire?”
“Grazie”, mi rispose. Si appoggiò alla mia mano, fece forza e poggiò il piede sul primo scalino della carrozza. Appena entrò e si fu sistemata, ripresi la mia postazione di guida e partii.
Ci allontanammo dal viale di casa sua, e lei si affacciò dalla piccola finestrella dietro di me, per conversare amabilmente, come le piaceva fare.
“Come mai avete deciso di portarmi a teatro su una carrozza?”, mi domandò.
“Stavo sentendo mia madre parlare di qualche regina europea che gira ancora per la città in carrozza. Allora mi sono chiesto: perché non portarla a teatro su un cocchio?”. Le sorrisi.
“Siete stato molto dolce, grazie”.
“è stato un piacere per me”, ammisi. A quel punto, anche lei mi sorrise. Scosse i capelli, sempre sorridendo, con quell’aria di bambina felice.
Arrivammo a teatro, ed Isabella diventò letteralmente euforica. Continuava a sorridermi ancor prima di entrare. Mi raccontò di non essere mai stata a teatro, che tutti gli inviti per uscire erano sempre stati rivolti a sua sorella. E che lei, essendo la secondogenita, non era mai uscita con un uomo per un incontro galante. Ero il primo, e la cosa mi lusingò molto.
Per lo spettacolo, ero riuscito a riservare il palco centrale della sala, di cui Isabella parve essere entusiasta. La feci accomodare sulla sedia, facendo gli onori alla mia ospite.
Appena si spensero le luci, cominciò subito lo spettacolo. Avevo sistemato la mia poltrona accanto alla sua, in modo che i nostri gomiti si sfiorassero.
Non guardai neanche un minuto dell’opera, dato che ero così intento ad ammirare la mia regina. A volte, sentivo anche il suo sguardo poggiarsi su di me, e facevo di tutto per incrociarlo. Quando succedeva, riuscivo pure a strapparle un sorriso. E ogni volta, chissà perché, lo spettacolo diventava più piacevole. Era così bello averla vicino.

Le due ore successive trascorsero lentamente, ma quando finalmente finirono, tirai un sospiro di sollievo. Che sofferenza.
Le chiesi, appena usciti, se potevo invitarla a mangiare qualcosa in un ristorante ma, mio malgrado, mi disse che doveva rientrare subito. Non avevo altre scuse per passere altro tempo in sua compagnia.
Durante il viaggio di ritorno, Isabella insistette per sedersi accanto a me, fuori dall’abitacolo. Non so quale misteriosa forza mi trattenne dal toccarla o baciarla. Ma alla fine riuscii a portarla a casa.
Si lasciò accompagnare alla porta, un piccolo sorriso che illuminò tutto il suo volto, e anche il mio, e sparì dietro le mura spesse di casa sua.
La serata mi sarebbe dovuta servire per rendermi conto se potevo stare o no senza di lei…
In quel momento, la risposta mi parve ovvia. Non ero neanche rimontato sulla carrozza che già mi mancava.
Spero vi sia piaciuta, e vi aspetto il prossimo martedì!
Baci,
Gisa

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