martedì 6 ottobre 2009

Until The Time Is Through cap 2!

Buon pomeriggio twilighters!

Oggi vi posto il secondo capitolo della fanfiction che sto finendo di scrivere, "Until The Time Is Through". Spero che il primo capitolo di martedì scorso vi sia piaciuto.
Vi raccomando di commentare!
Buona letturaaa!


Sciatta e minuta come mia madre, la ragazza aveva i capelli di uno strano color topo. Per di più, aveva un che di strano nel viso: i lineamenti erano dolci, ma gli occhi erano grigi, assolutamente privi di vita. Da come mi guardava, sembrava fosse capitata davanti a noi per caso.
Vidi mia madre voltarsi verso di me e fissarmi, e io feci in tempo a cambiare espressione. Evidentemente, stavo facendo innervosire i genitori della ragazza. Il signor Hart fece un colpetto di tosse, che era un qualche segno per la moglie che, in quel momento, trascinò mia madre fuori dalla mia portata, parlandole a vanvera delle sue nuove peonie.
Cercai di trovare un modo per scrollarmi la ragazza di dosso, ma lei mi guardava esitante, e non potevo lasciarla in quel modo. Poco dopo, distolse lo sguardo pure lei, delusa.
Per quanto ne sapessi, stava cercando di scaricarmi in qualche modo, perché si guardava in giro smaniosa.
Appena trovò un appiglio per scappare in camera, lo sfruttò subito: decise di presentarmi la sua adorabile sorella. A quanto pareva, anche lei era in età da marito, ma non ne voleva sapere di sposarsi.
Mi portò davanti ad una siepe perfettamente potata, dove avrei dovuto aspettare che lei chiamasse sua sorella.
Mi guardai intorno per cercare mia madre, e la vidi ancora sotto il gazebo, con la signora Hart, intenta a discutere animatamente di fiori e piante. Conoscendola, si stava annoiando molto.
“Edward, volevo presentarvi mia sorella minore, Isabella. Bella, lui è Edward Anthony Masen, il figlio della signora Masen”, disse Claire, con voce fiera ed altezzosa.
Accorgendomi delle sue parole, mi voltai di scatto verso le due sorelle, a cui prima davo di spalle.
Appena la vidi, rimasi estasiato dalla visione. La ragazza che stava accanto a Claire, assolutamente diversa dalla sorella, brillava di una luce pallida, quasi non visibile. Il candore delle sue guance, così soffici e delicate anche a prima vista, era meravigliosamente accompagnato da due chiazze rosee. Stava arrossendo.
Gli occhi color del cioccolato, profondi e timidi, si nascondevano tra le lunghissime ciglia, cercando di non guardarmi.
L’abito blu che indossava le accarezzava dolcemente le forme del corpo, esaltando la carnagione chiara, quasi lucente.
Era un angelo.
“Onorata di conoscervi, Edward”, disse, inchinandosi. Per ultimo chinò la testa, con fare teatrale. Avrei potuto scrivere un poema solo sulla grana e il timbro della sua voce, così delicata, così soffice, quasi come le guance.
Mi accorsi che si aspettava dicessi qualcosa. Rovistai nella mente per cercare qualcosa con cui continuare la conversazione, altrimenti ferma a due dialoghi.
“Piacere mio, Isabella. Prego, alzatevi”, riuscii infine a dirle.
Quando si rialzò, i nostri occhi si incontrarono, e fu come entrare in paradiso. Sembrava che anche lei pensasse la stessa cosa.
Visto che avevamo terminato di parlare, Claire ci abbandonò sbuffando. Mormorò qualcosa, indispettita, ma non me ne curai.
Alla vista della sorella che se ne andava, Isabella si sbloccò, cercando di domandarmi qualcosa.
“Allora, Edward, di che vi occupate? Anche voi in procinto di arruolarvi nell’esercito?”, mi chiese, d’un tratto. Nel farlo, abbassò lo sguardo, dispiaciuta.
“A dire il vero, tutto dipende dall’esito della giornata di oggi. Se riuscirò a trovare…”
“A trovare una futura moglie entro oggi, volete dire?”, mi interruppe lei, guardandomi di nuovo fisso. La sua intraprendenza mi sorprese.
“Stavo per dire una soluzione, ma vedo che avete intuito di cosa parlo. Ma ditemi di voi.. qualche ricco marito in vista?”, domandai, desideroso di sapere la risposta.
“Oh, per carità, spero di no! A meno che non incontri il vero amore, e ne dubito fortemente, preferisco rimanere sola con i miei libri per tutta la vita. Diverrò, per i figli di mia sorella, la zia strana, che non è riuscita a trovare marito in età giusta”. Si rivolse verso di me, pronunciando l’ultima frase. Forse intendeva vedere la mia reazione, forse comunicarmi qualcosa.
Mi accorsi che c’eravamo incamminati nel giardinetto dietro la casa solo quando la vidi sfilarsi le piccole scarpette blu, in tinta col vestito.
Dall’espressione e il sorrisi che vidi dipingersi sul suo viso, le piaceva il contatto tra la pelle e l’erba fresca appena falciata.
Non mi sentii di imitarla.

Isabella lasciò ricadere il viso verso il basso, guardandosi i piedi liberi. Mi feci più vicino, per sussurrarle all’orecchio. Non avevo ancora finito di parlare.
“Sapete, per me è lo stesso. Cercherò di sfuggire alla guerra solo se incontrerò una persona che mi renda felice, e che possa farlo per tutta la vita. Ma, nel caso contrario, non esiterò adarruolarmi. Sarà l’ultima delle mie scelte, se non troverò intoppi”.
Ci lasciammo cadere su una panchina, e mi permisi di guardarle le guance. Erano così delicate.. solo sfiorandole forse si sarebbero rovinante.
“Avrei una cosa per voi” le dissi, attirando il suo sguardo verso di me.
“Per me?” mi chiese, di rimando. Appariva sinceramente sorpresa.
“Per voi”. Preresi una delle rose rosse che vidi nella siepe accanto alla nostra panchina e gliela porsi.
Alla vista di quel modesto fiore, le guance di Isabella diventarono di un rosso scarlatto, quansi da far invidia alla mia rosa rossa. In quel momento, l’impeto di toccarla fu così forte che quasi mi bruciavano le mani. Ma non mi permisi di farlo per nessuna ragione.
Lei continuava a rigirarsi la rosa nelle mani, attenta a non toccare le spine. La annusò più volte, prima di rigirarsi verso di me.
“Siete stato molto premuroso, grazie” mi disse, e ricacciò il viso contro i delicati petali della rosa.
“Un piacere, non dovete ringraziarmi”, le risposi, guardando i suoi capelli arruffati. Fintanto che lei non poteva vedermi, io potevo guardarla e ammirare tutto il suo splendore senza timore di venire giudicato male. Se fosse stato il contrario, non sarebbe stato un comportamento da corretto gentiluomo.
Nei minuti che seguirono, sperai che dicesse qualcosa, o che finisse di annusare la rosa, e mi guardasse. Ma non lo fece e poco dopo, fin troppo poco, oserei dire, la madre di Isabella ebbe bisogno di aiuto con i dolci da portare al tavolo, e a malincuore dovetti lasciarla andare.
Ora che Isabella se n’era andata, ero libero di studiarla con lo sguardo, a distanza. A volte, incrociando i suoi occhi, riuscivo ad estorcerle un sorriso debole, ma luminoso come il sole.
Non ero ancora sicuro dei miei sentimenti. Valeva la pena di rinunciare alla guerra per lei? Se non avessi chiesto la sua mano, me ne sarei pentito? E, se l’avessi fatto, me ne sarei pentito lo stesso poiché ero stato troppo precipitoso? L’amavo davvero, o era solo una semplice infatuazione?
Ma una domanda si stagliava su tutte, una a cui non potevo rispondere da solo: anche lei provava questo per me?
Certo, non potevo sapere se l’avrei sposata. Ma mi aveva incantato, come il canto delle sirene ammaliava i marinai.
La sua voce, il suo profumo di fresia, il suo sorriso, il modo in cui arrossendo si guardava i piccoli fragili piedi.. tutto, di quello che faceva o diceva, era per me come l’opera più bella al mondo, eseguita dalla migliore orchestra.
I pensieri mi vorticavano turbinosamente in testa.
Non sapevo cosa mi stesse succedendo.

Ci ritrovaimo il prossimo martedì!
Baci,
Gisa.

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