sabato 24 ottobre 2009

Ti amo...Tu sei la mia vita adesso...

Ciaoo a tutti!!! Buon sabato!!!
Allora, come va l'attesa? Anche voi impazienti? Il 18 nov sempre lontano anni luce? Ci toccherà essere molto pazienti, soprattutto perchè ne vale la pena;)
Impiegate il tempo rileggendo i libri? Allora, potete riprendere con noi questo passo tratto da Twilight...è la mattina dopo la giornata alla radura.
Chi pensa ancora che non aver sentito il TI AMO nel primo film sia stata una grossa perdita? Beh, pazienza...nel secondo ci rifaremo;)
Enjoy!!!


Mi risvegliai alla luce smorzata dell'ennesimo giorno di cie­lo coperto. Ero sdraiata, con un braccio a nascondermi il viso, intontita. Qualcosa, un sogno che chiedeva di essere ricordato, si faceva largo nella mia coscienza. Sbadigliai e mi girai sul fianco, sperando di riaddormentarmi. E di colpo la mia mente fu inondata dalla consapevolezza del giorno prima.
«Ah!». Mi alzai tanto in fretta da avere le vertigini.
«Il tuoi capelli sembrano una balla di fieno... ma mi piac­ciono». La sua voce serena giungeva dalla sedia a dondolo, nel­l'angolo.
«Edward! Sei rimasto qui!». Ero felicissima, e mi buttai im­mediatamente, senza pensarci un istante, in braccio a lui. Nel­l'attimo in cui mi resi conto del mio gesto, rimasi impietrita, sbalordita dal mio stesso entusiasmo incontrollato. Alzai lo sguardo, temendo di avere fatto un passo di troppo.
Ma lui rideva.
«Certo». Era stupito, ma apparentemente lieto della mia reazione. Mi accarezzava la schiena.
Posai la testa sulla sua spalla, con delicatezza, per respirare il profumo della sua pelle.
«Ero convinta di averti sognato».
«Non sei tanto creativa».
«Charlie!», mi ricordai all'improvviso, saltando su d'istinto e scattando verso la porta.
«È uscito un'ora fa... dopo aver ricollegato la batteria del pick-up, se proprio vuoi saperlo. Devo ammettere che un po' mi ha deluso. Basterebbe così poco per bloccarti, se fossi deci­sa a fuggire?».
Mi fermai a riflettere, però senza spostarmi. Desideravo tor­nare in braccio a Edward ma temevo di avere l'alito pesante.
«Di solito, la mattina non sei così confusa», mi fece notare lui. Aspettava il mio ritorno a braccia aperte. Un invito quasi irresistibile.
«Ho bisogno di un altro minuto umano».
«Ti aspetto».
Filai in bagno, scombussolata. Non riuscivo a decifrare le mie emozioni, non mi riconoscevo più. Il volto riflesso nello specchio era quello di un'estranea: occhi troppo lucidi, guance colorite, chiazzate di rosso. Dopo essermi spazzolata i denti, mi adoperai per sciogliere il caos di nodi che avevo tra i capelli. Mi lavai la faccia con l'acqua fredda e cercai, senza risultati ap­prezzabili, di respirare normalmente. Tornai in camera mia quasi di corsa.
Ritrovarlo lì, ancora a braccia aperte, era una specie di mira­colo. Mi venne incontro, e il mio cuore impazzì.
«Bentornata», mormorò, abbracciandomi.
Per un po' mi cullò in silenzio, finché non mi accorsi che i vestiti erano diversi e i capelli più ordinati.
«Te ne sei andato?», lo accusai, indicando il colletto della camicia appena indossata.
«Non potevo certo uscire di qui con gli stessi abiti che ave­vo quando sono entrato... Cosa avrebbero pensato i vicini?».
Lo guardai, imbronciata.
«Stavi dormendo sodo; non mi sono perso niente». Il suo sguardo si accese. «I discorsi li avevi già fatti».
«Cos'hai sentito?», mi uscì con un tono lamentoso.
I suoi occhi dorati mi sfiorarono con uno sguardo dolce. «Hai detto che mi amavi».
«Lo sapevi già», dissi, chinando la testa.
«Però è stato bello sentirlo».
Affondai la faccia nella sua spalla.
«Ti amo», sussurrai.
«Tu sei la mia vita, adesso».
Non ci restava più nulla da dire. Mi cullò, avanti e indietro, fino a quando la luce del giorno non invase la stanza.
«È ora di fare colazione», disse infine, disinvolto, per dimo­strare - ne ero certa - di avere sempre presenti le mie debolez­ze umane.
Allora portai le mani al collo e spalancai gli occhi fissandolo con terrore. La sua espressione tradì che era scioccato.
«Scherzetto!», ridacchiai. «E poi dici che non sono capace di recitare!».
Fece una smorfia di disapprovazione. «Non è stato diver­tente».
«Invece sì, tanto, e lo sai anche tu». Esaminai i suoi occhi dorati per accertarmi che mi avesse perdonato. Apparente­mente, sì.
«Posso riformulare la frase?», chiese. «È ora di fare colazio­ne, per gli umani».
«Ah, d'accordo».
Mi prese in spalla, con gentilezza, ma anche con una velocità che mi lasciò senza fiato. Le sue spalle erano una roccia. Cercai inutilmente di protestare, mentre mi portava giù per le scale senza sforzo. Riuscì a scaricarmi direttamente su una sedia.
La cucina era luminosa, allegra, quasi uno specchio del mio umore.
«Cosa c'è per colazione?», chiesi con tono amabile.
La domanda lo lasciò interdetto qualche istante.
«Ehm, non saprei. Cosa ti piacerebbe mangiare?». Le sue sopracciglia marmoree erano corrugate.
Sorrisi e mi alzai di scatto.
«Benissimo, posso cavarmela da sola senza problemi. Osser­vami mentre caccio».
Trovai una tazza e una scatola di cereali. Sentivo i suoi occhi su di me, mentre versavo il latte e afferravo un cucchiaio. Di­sposi il cibo sul tavolo, in silenzio.
«Vuoi che procacci qualcosa anche per te?», chiesi, per non essere scortese.
Alzò gli occhi al cielo. «Mangia e basta, Bella».
Mi accomodai al tavolo, masticando la prima cucchiaiata senza staccargli gli occhi di dosso. Studiava ogni mio movi­mento. E la cosa mi metteva a disagio. Mi schiarii la gola per parlare, e distrarlo.
«Cos'abbiamo in programma oggi?».
«Mmm...». Lo osservai cercare la risposta. «Che ne dici di venire a conoscere la mia famiglia?».
Restai senza parole.
«Hai paura, adesso?». Sembrava speranzoso.
«In effetti, sì». Non potevo negarlo: me lo leggeva negli occhi.
«Non preoccuparti. Ti proteggerò io», mi rassicurò con un sorrisetto.
«Non ho paura di loro. Temo che non... gli piacerò. Non credi che saranno sorpresi di vederti arrivare assieme a una... come me... a casa loro, per conoscerli? Sanno quel che so di loro?».
«Sanno già tutto. Ieri hanno persino scommesso», accennò una risata, ma poco convinta, «su quante possibilità io abbia di portarti a casa sana e salva, benché mi sembri una stupidaggi­ne scommettere contro Alice. E in ogni caso, nella mia famiglia non ci sono segreti. Non sarebbe proprio concepibile, con me che leggo nel pensiero, Alice che vede il futuro e tutto il resto».
«E Jasper che ti rende felice, contento ed entusiasta di rac­contargli i fatti tuoi, non dimentichiamolo».
«Ah, vedo che quando parlo stai attenta».
«Di tanto in tanto capita anche a me». Feci una linguaccia. «Perciò, Alice mi ha già vista arrivare?».
La sua reazione fu strana. «Qualcosa del genere», disse, sen­za troppo entusiasmo, voltandosi per non mostrarmi il suo sguardo. Lo fissai, curiosa.
«È buono quel che mangi?», domandò, tornando a osser­varmi all'improvviso e adocchiando la mia colazione con sguardo malizioso. «Sinceramente, non mette tanto appetito».
«Be', di certo non è un grizzly permaloso...», mormorai, ignorando la sua reazione seria. Ancora mi stavo interrogando sul perché avesse reagito in quel modo quando avevo nomina­to Alice. Mi affrettai a finire i cereali, presa dai miei pensieri.
Lui era in piedi al centro della cucina, di nuovo la statua di Adone, intento a fissare l'orizzonte dalla finestra sul retro.
Poi tornò a guardarmi e riecco il sorriso ammaliatore.
«E immagino che poi toccherà a te, presentarmi a tuo padre».
«Ti conosce già», risposi.
«In quanto tuo ragazzo, dico».
Lo fissai con sospetto: «Perché?».
«Non si usa?», chiese, innocente.
«Ti confesso che non lo so». Le mie vicende sentimentali passate mi offrivano poche pietre di paragone. Non che le nor­mali regole del corteggiamento facessero al caso nostro. «Non è necessario, ecco. Non mi aspetto che tu... Cioè, non sei co­stretto a fingere per me».
Sorrise paziente. «Non sto fingendo».
Raccolsi gli avanzi di cereali sul bordo della tazza. Ero rima­sta spiazzata.
«Dirai o no a Charlie che sono il tuo ragazzo?», insistette.
«Lo sei?». Combattevo contro la mia fuga interiore al pen­siero di Edward, Charlie, e delle parole "mio ragazzo" nella stessa stanza e nello stesso momento.
«In effetti l'espressione "ragazzo" è qui intesa in senso lato».
«Avevo l'impressione che fossi qualcosa di più, a dir la ve­rità», confessai, spostando lo sguardo sul tavolo.
«Be', non so se sia il caso di descrivergli anche i dettagli più sanguinolenti». Si avvicinò e, sfiorandomi il mento con un dito freddo e delicato, mi costrinse ad alzare la testa. «Ma senz'altro dovremo giustificare in qualche modo il fatto che ti girerò at­torno tanto spesso. Non voglio che l'ispettore Swan ricorra a misure cautelari per vietarmi formalmente di vederti».
«Ti vedrò spesso?», chiesi, impaziente. «Starai qui spesso, davvero?».
«Per tutto il tempo che vuoi».
«Attento, perché ti vorrò sempre. Per sempre».
Girò lentamente attorno al tavolo e, vicino com'era, allungò una mano per sfiorarmi la guancia con le dita. La sua espres­sione era indecifrabile.
«Quest'idea ti mette tristezza?».
Non rispose. Mi guardò negli occhi per un istante che parve interminabile.
«Hai finito?», chiese infine.
Mi alzai di slancio. «Sì».
«Vestiti. Ti aspetto qui».
Decidere cosa indossare fu difficile. Dubitavo che esistesse­ro dei manuali di bon ton che consigliavano l'abbigliamento giusto per accompagnare il proprio fidanzato vampiro a casa della sua famiglia di vampiri. Era un sollievo pensare a quella parola, tra me e me. Sapevo di averla sempre evitata intenzio­nalmente.
Finii per scegliere l'unica gonna che avevo: lunga, color ca­chi, casual. Le abbinai la camicetta blu scuro, che Edward ave­va già mostrato di gradire. Un'occhiata veloce allo specchio chiarì che i miei capelli erano totalmente impossibili, perciò li raccolsi a coda di cavallo.
«Okay». Balzai giù dalle scale. «Sono presentabile».
Mi aspettava ai piedi degli scalini, più vicino di quanto pen­sassi, e mi ci scontrai in pieno. Mi fermò, mi tenne a distanza di sicurezza per qualche secondo e poi mi strinse a sé.
«Sbagliato», sussurrò al mio orecchio. «Sei assolutamente impresentabile. Nessuno dovrebbe essere così attraente: è una tentazione, non è giusto».
«Attraente come?», chiesi. «Posso cambiarmi...».
Fece un sospiro e scosse la testa: «Sei davvero assurda». Mi posò delicatamente le labbra fredde sulla fronte, e la stanza ini­ziò a girare. Il profumo del suo respiro mi dava alla testa.
«Mi concedi di spiegarti come mi stai inducendo in tenta­zione?», disse. La domanda era ovviamente retorica. Le sue dita scorrevano lentamente sulla mia schiena e il suo respiro si avvicinava, veloce, alla mia pelle. Tenevo le mani inerti sul suo petto e sentivo le gambe molli. Piegò lentamente la testa e con le sue labbra fredde toccò le mie per la seconda volta, con estrema delicatezza, dischiudendole appena.
A quel punto crollai.
«Bella?». Sembrava allarmato, mentre mi afferrava e mi sol­levava.
«Mi... hai... fatta... svenire». Avevo perso le forze.
«Ma cosa devo fare con te?!», esclamò esasperato. «La pri­ma volta che ti bacio, mi assali! La seconda, mi svieni tra le braccia!».
Mi feci sfuggire una debole risata, lasciandomi custodire dal suo abbraccio, mentre mi girava la testa.
«E meno male che sono bravo in tutto», sospirò.
«Questo è il problema», dissi, ancora intontita. «Sei troppo bravo. Troppo, troppo bravo».
«Ti senti male?», chiese. Mi aveva già vista in quello stato.
«No... non è stato affatto come l'altro svenimento. Non so cosa sia successo». Cercavo di scusarmi, scuotendo la testa. «Penso di aver dimenticato di respirare».
«Non posso portarti da nessuna parte, in queste condizioni».
«Guarda che sto bene. E poi, i tuoi penseranno comunque che sono pazza, perciò... che differenza fa?».
Per un istante rimase a studiarmi. «Ho un debole per come quel colore si sposa con la tua carnagione», commentò, a sor­presa. Arrossii, lusingata, e guardai altrove.
«Ascolta, sto cercando con tutte le mie forze di non pensare a ciò che sto per fare, perciò possiamo andare?», implorai.
«E sei preoccupata, non perché stai per conoscere una fami­glia di vampiri, ma perché temi che questi vampiri non ti ap­proveranno, giusto?».
«Giusto», risposi immediatamente, dissimulando la sorpre­sa per la disinvoltura con cui aveva detto "vampiri".
Scosse il capo. «Sei incredibile».

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