venerdì 23 ottobre 2009

Light & Darkness - sangue e lacrime

buongiorno twilighters!!

avete visto tutte le scene che vi abbiamo proposto ieri o siete tra quelli che prefericono arrivare al 18 novembre e godersi appieno tutte le scene per la prima volta??

come ogni venerdi ecco a voi la fanfiction di Giusy Light & Darkness! che avventura ci farà sognare questa volta Bella?
sarà un sogno o un incubo?

per scoprirlo non resta che leggere!

a presto con tutte le news dal fantastico mondo della twilight saga!!!

Piccola premessa.
Il sogno a livello temporale si colloca in un preciso momento, esattamente nel periodo in cui Bella comincia a riprendersi dopo che Edward l’ha lasciata. Quindi è dopo che Sam l’ha ritrovata nel bosco, ma prima che Jacob si trasformi in licantropo o minimamente sospetti qualcosa su quello che gli accadrà di lì a breve.


SANGUE E LACRIME

Mi piaceva nelle belle giornate godermi un po’ di sole. Riusciva a filtrare se le nuvole erano rade, così uscivo e me ne stavo sdraiata sull’erba proprio accanto casa.
Quel giorno portai dei libri con me per passare il tempo; leggere mi rilassava e le storie di cui leggevo mi distraevano dalla realtà.
Ero assorta nei miei pensieri quando un rumore tra i cespugli attirò la mia attenzione.
Guardai subito in quella direzione e notai qualcosa. L’ombra ne camuffava la figura, ma capii che si trattava di un essere umano.
“Chi è là?”. Alle mie parole chiunque fosse, scattò, dandosi alla fuga.
In quell’istante la curiosità fu più forte della paura, così partii all’inseguimento.
“Aspetta! Chi sei? Fermati!” gli urlavo, ma non sapevo se riusciva a sentirmi, era già avanti a me di molte lunghezze quando cominciai a correre tra alberi e cespugli.
Mi addentravo sempre più nel folto del bosco e quando credevo di averlo perso il rumore di un ramo spezzato o il calpestio vicino ad un mucchio di foglie mi rimettevano sulla giusta pista.
Il bosco era più buio di quanto ricordassi, così alla mia naturale propensione per ammaccature, e graffi si aggiunse l’aggravante della scarsa visibilità.
Senza occhi a guidarmi nel buio rallentai di molto il passo.
Mi sembrava di giocare a mosca cieca, con le braccia tese in avanti per non andare a sbattere con qualche albero, cogliendo l’ostacolo in tempo.
Poi riuscii a vedere una nebbiolina in lontananza, fluttuava a mezz’aria. Sembrava che qualche raggio di sole arrivasse in quella direzione.
Aumentando il rischio di cadere, corsi incontro a quella luce tenue.
Improvvisamente fu come esserne avvolta e quasi tuffandomi cercai di afferrarla, ma caddi, finendo a pancia in giù.
Mi rialzai restando poi a bocca aperta.
Davanti a me uno spazio immenso, un prato che si stendeva a perdita d’occhio, colorato da violette e gelsomini.
Gli occhi mi facevano male, ora l’oscurità era cancellata da un sole caldo, raggiante, nel punto più alto del cielo cristallino.
Feci qualche passo e fu come sentirsi a casa.
Ero incantata e mi sentivo tanto straordinaria e fortunata ad aver trovato quel luogo meraviglioso.
Volevo toccare l’erba, i fiori e annusarne il profumo. Mi chinai e avvicinandomi rimasi immobile.
Vidi la mia mano. ‘Oddio’ e lo sguardo si spostò via via su tutto il corpo.
Le dita, le braccia, le gambe… quasi ovunque c’erano copiosi graffi che sanguinavano.
I vestiti erano lacerati in più punti. Mentre correvo dovevano essere stati i rami a ridurli a quel modo. Sul momento ne fui terrorizzata.
Caddi sulle ginocchia, mi sentivo mancare, ma combattevo con tutte le forze per non svenire.
Mi aspettavo nausea e capogiri, ma non arrivarono.
Anzi, come una boccata d’aria dopo una lunga immersione, un coraggio dettato dall’istinto di sopravvivenza mi scosse.
Dovevo tornare a casa e medicarmi.
L’unico problema sarebbe stato attraversare il bosco, soprattutto in quelle condizioni. Tolsi la felpa cercando di tamponare le ferite. Fermai il sangue ma tutti i vestiti erano sporchi e appiccicosi.
L’avevo quasi dimenticato, ma un fruscio come uno spostamento d’aria alla mia destra mi fece sobbalzare e ricordare.
Stavo inseguendo qualcuno.
Mi sentivo osservata e allo stesso tempo indifesa. Lì, in quel prato, non potevo nascondermi, né c’erano sassi o rami robusti da usare come armi di difesa.
Che stupida. Perché ero corsa fino a lì?
Un altro movimento, stavolta a sinistra e fui certa che qualcosa mi avesse sfiorato la gamba.
“Chi sei? Vieni fuori!”. Volevo dirlo con voce ferma e minacciosa, ma il fatto che fosse tremante senza dubbio non mi aiutava.
Forse più efficace di quel che pensassi, quell’esortazione fece il suo effetto e mi ritrovai davanti l’uomo misterioso che avevo seguito.
Ancor più di prima dinanzi alla radura, rimasi senza parole.
Era Edward.
“Edward, sei tu! Perché stavi scappando? Io ti chiamavo, io…” ma non mi ascoltava. Aveva lo sguardo fisso su di me. Gli occhi accesi da una particolare eccitazione.
“Edward, stai bene?” alzai il braccio avvicinandomi a lui e inorridita lo ritrassi.
Ero sporca di sangue e ancora alcune ferite erano aperte e gocciolanti. Non potevo stargli vicino. “Edward! No! Stai lì!Sto sanguinando!”, ma ancora era come se non stessi parlando, non mi sentiva.
Continuavo a guardarlo, vedevo il terrore affiorare sul mio viso riflesso nei suoi occhi.
Come se fosse stato un lontano ricordo, riportai alla mente il suo sguardo affamato, le pupille rosse, le occhiaie marcate…ora nessuno di quei segnali compariva. Gli occhi erano ambrati, ma era come se fosse assente.
Mi rimisi la felpa, forse nascondendo le ferite e le macchie sarebbe stato meno difficile per lui.
Lo persi un momento di vista e lo cercai con lo sguardo.
Poi, eccolo. Proprio davanti a me.
Quando era spuntata la parete di roccia dietro la mia schiena?
Non potevo evitare di sentirmi in trappola.
Edward aveva alzato le braccia all’altezza delle mie spalle e mi impediva ogni movimento.
Il suo viso era a venti centimetri dal mio. Come se ancora non lo avessi visto, come se ancora non avessi colto la bellezza del suo volto, smisi per un attimo di respirare. Era bello come non mai e me ne accorsi in una frazione di secondo perché furono ancora una volta i suoi occhi a rubare tutta la mia attenzione. Ora erano tristi, segnati da rassegnazione e sconforto.
“Edward, che succed…” neanche riuscii a finire la frase, che lui si mise un dito sulla bocca, come per dirmi di far silenzio e poi spostò la testa sulla mia spalla; i capelli mi solleticavano il mento e la sua guancia era appoggiata vicino al mio collo.
La sua pelle contro la mia e il contatto scatenò l’emozione di sempre. Non sentii freddo, anzi, il calore che saliva dal petto cresceva senza sosta e il cuore ormai aveva preso il volo.
Edward si mosse, la punta del naso sfiorò il mio mento e poi di nuovo scese alla scapola.
“Edward…” tremavo e mi mancava il fiato.
Si fermò. Sentii qualcosa bagnarmi il collo. Se non avessi saputo che un vampiro non può piangere, avrei giurato che quella fosse una lacrima.
“E così…” prese a parlare, ancora non avevo sentito la sua voce. Era miele.
“… il leone si mangiò l’agnello”.
Wham.
Una scossa e mi ritrovai avvolta dalla coperta, ancora stesa sul prato accanto casa.
Avevo il fiatone e il cuore a mille.
Davanti agli occhi lo sguardo affamato di Edward, che dopo gesti di tenerezza alzava la testa e di colpo mi aggrediva.
Portai le mani al viso. Non riuscivo a credere a ciò che avevo appena sognato. Era stato Jasper ad aggredirmi dopo aver visto il mio sangue, non Edward!
Sentii le lacrime sopraggiungere.Certo era stato un sogno, ma terrificante.
‘Calmati, calmati ora’ mi ripetevo.
Stava per piovere. Goccioloni d’acqua cadevano giù annunciando l’imminente acquazzone. Meglio rientrare.
E poi sobbalzai. Di nuovo un rumore tra i cespugli, al limitare del bosco.
“Chi c’è?” dissi con un filo di voce. Non ero sicura che potesse sentirmi. Poi ancora un movimento e un fruscio.
“Chiunque tu sia, non ho intenzione di fare la tua conoscenza. Ora se vuoi scusarmi…” e raccolsi i libri e la coperta alzandomi in fretta. “…devo preparare la cena. Sai mio padre, lo sceriffo Swan, tra poco sarà di ritorno”.
A passo svelto raggiunsi la porta di casa.
Mi girai per un’ultima occhiata, cercando di mettere a fuoco gli alberi nell’ombra.
Sgranai gli occhi. ‘Che razza di…’.
Di certo mi stavo sbagliando. Per un istante, mi sembrò di scorgere una massa enorme di pelo nero tra le foglie. Mi girai e feci per entrare in casa.
“Assurdo” dissi tra me.
“Cosa è assurdo?”. Mi girai di colpo.
Jacob era proprio dietro di me, il sorriso smagliante in bella mostra. Non lo avevo nemmeno sentito arrivare.
“Jacob!”. Ero felice di vederlo. Avrei dimenticato in fretta quell’incubo, anche se non ero certa di voler cancellare dalla mente quella radura e il volto di… Edward. Pensare anche al suo nome faceva male. Nel sogno era stato più semplice.
Guardai di nuovo tra gli alberi oltre il braccio di Jacob per un attimo. L’ombra sparì proprio mentre indugiavo con lo sguardo tra quei cespugli.
“No nulla, solo…mmm…non ci sono orsi bruni alti due metri a Forks, vero?” doveva prendermi per pazza.
“Ah, ah Bella, non credo proprio!” e ridendo entrammo in casa
.

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