sabato 17 ottobre 2009

La ragione domina gli istinti

Buongiorno twilighters!!!
Eccoci al weekend...quindi alla consueta pioggia di parole;)
Soprattutto in questo periodo sono foto e video a colpirci di più, ma anche le parole, anzi in questo caso SOPRATTUTTO, hanno il loro peso.
E un capitolo come questo va proprio riletto...Edward e Bella in camera insieme dopo tutto quello che è accadto nella radura...
Enjoy!

Avevo parecchio a cui pensare, e molte domande ancora in serbo. Ma, con mio grave imbarazzo, il mio stomaco brontolò. Ero così frastornata da non aver neanche pensato a mangiare. E a quel punto realizzai che stavo morendo di fame.
«Scusami, ti ho trattenuta; immagino che tu debba cenare».
«No, non c'è problema, davvero».
«Non ho mai passato molto tempo in compagnia di qualcu­no che si nutre di cibo. Me ne stavo dimenticando».
«Voglio restare qui con te». Dirlo nell'oscurità era più faci­le, sapevo che la mia voce avrebbe tradito me e la mia dipen­denza irrimediabile da lui.
«Posso entrare?», mi domandò.
«Ti andrebbe?». Non riuscivo nemmeno a immaginare quella creatura paradisiaca seduta nella cucina malconcia di mio padre.
«Sì, se non è un problema».
Sentii il rumore della portiera dalla sua parte che si chiudeva piano, e quasi simultaneamente lui apparve al mio finestrino, per aprire la mia.«Molto umano, direi», mi complimentai per il gesto.
«Sento che certe cose stanno tornando a galla».
Camminava al mio fianco nella notte, tanto silenzioso che sbirciavo di continuo per accertarmi che non fosse sparito. Al buio sembrava molto più normale. Sempre pallido, sempre bello come un sogno, ma non più la stessa fantastica creatura scintillante del nostro pomeriggio assolato.Mi precedette sulla porta e l'aprì. Rimasi impietrita sulla soglia.«Era aperta?».
«No, ho preso la chiave da sotto lo zerbino».
Entrai, accesi la luce della veranda e mi voltai a guardarlo, sbalordita. Ero sicura di non avere mai usato quella chiave in sua presenza.
«Ero curioso... di te».
«Mi hai spiata?». Mi sforzavo di imprimere alla mia voce un tono indignato ma, non so come, non ci riuscivo. Anzi, mi sen­tivo lusingata.
Lui non fece una piega. «Cos'altro c'è da fare, di notte?».
Lasciai correre ed entrai in cucina. Mi precedette senza bi­sogno che gli facessi strada. Si sedette proprio dove avevo pro­vato a immaginarlo. La cucina risplendeva della sua bellezza. Distogliere lo sguardo da lui era un'impresa.
Mi concentrai sulla cena, presi le lasagne della sera prima dal frigorifero, ne tagliai un quadrato che posai su un piatto e lo misi a scaldare nel microonde. Le lasagne iniziarono a girare e a riempire la stanza del profumo di pomodoro e origano. Parlai senza staccare gli occhi dal forno.«Quante volte?», chiesi, disinvolta.
«Come?». Sembrava l'avessi distolto da chissà quale catena di pensieri.
Non mi voltai. «Quante volte sei venuto qui?».
«Vengo a trovarti quasi tutte le notti».
Mi voltai di scatto, stupita: «Perché?».
«Sei interessante quando dormi». Lo diceva come se niente fosse. «Parli nel sonno».
«No!», sbottai, rossa di vergogna fino ai capelli. Mi appog­giai al piano di cottura per sostenermi. Certo che sapevo di parlare nel sonno: mia madre mi aveva sempre preso in giro per questo. Però non avrei mai pensato di dovermene preoc­cupare anche lì.
Era dispiaciuto, glielo leggevo negli occhi. «Sei tanto arrab­biata con me?».
«Dipende!». Mi sentii - e parlai - come se qualcuno mi avesse rubato l'aria.Aspettò che chiarissi.
«Da...», mi sollecitò dopo un po'.
«Da quel che hai sentito!», strillai.
All'istante, in silenzio, si materializzò al mio fianco e mi pre­se le mani con delicatezza.
«Non esserne così sconvolta!». Si chinò su di me e da pochi centimetri di distanza mi fissò negli occhi. Ero imbarazzata, e cercai di distogliere lo sguardo.
«Ti manca tua madre», sussurrò. «Sei preoccupata per lei. E il rumore della pioggia ti innervosisce. All'inizio parlavi molto di casa tua, ora lo fai più raramente. Una volta hai detto: "È troppo verde"». Rise piano, nella speranza - lo vedevo bene - di non offendermi ulteriormente.
«E che altro?».
Sapeva dove volevo arrivare. «Hai pronunciato il mio nome», ammise.
Sospirai, rassegnata: «Tante volte?».
«Quante sarebbero precisamente "tante"?».
«Oh, no!», chinai la testa.
Cercò di consolarmi, stringendomi al petto dolcemente, con naturalezza.
«Non prendertela con te stessa», mi sussurrò in un orec­chio. «Se fossi capace di sognare, sognerei te. E non me ne ver­gogno». Poi sentimmo entrambi il rumore di pneumatici sui sassi del vialetto, e due fari illuminarono le finestre di fronte che dava­no sull'ingresso. Mi irrigidii di colpo.
«È il caso che tuo padre sappia che sono qui?».
«Non saprei...», cercai di riflettere alla svelta.«La prossima volta, allora...».
E mi lasciò sola. «Edward!», dissi in un soffio.
Sentii il fantasma di una risatina, e poi nient'altro.Mio padre fece scattare la serratura dell'ingresso.[…]
«'Notte, cara». Ero certa che Charlie sarebbe stato con le orecchie tese per tutta la sera, in attesa di quando mi avrebbe sentita scappare.
«Ci vediamo domattina, papà». Ci vediamo a mezzanotte, quando ti intrufolerai nella mia stanza per controllarmi.Feci del mio meglio per salire le scale con un finto passo stanco e trascinato. Chiusi la porta della stanza con forza affin­ché Charlie la sentisse bene, e poi, in punta di piedi, corsi alla finestra. L'aprii e mi sporsi, nell'oscurità della sera, a scrutare le ombre impenetrabili degli alberi.
«Edward?», lo chiamai sottovoce. Mi sentivo un'idiota totale.La risposta, una risatina smorzata, giunse alle mie spalle: «Sì?».
Mi voltai di scatto, coprendomi la bocca per la sorpresa.Era sdraiato sul mio letto, con un gran sorriso sulle labbra, le mani dietro la testa, i piedi penzoloni: l'immagine del relax. Mi sentivo vacillare, e mi lasciai cadere in ginocchio sul pa­vimento.
«Scusa». Si sforzava di non ridermi in faccia.
«Dammi solo un minuto per rimettere in moto il cuore».
Allora si tirò su a sedere, con lentezza, per non spaventarmi. Poi si avvicinò e mi sollevò con le sue lunghe braccia, afferran­domi appena sotto le spalle, come fossi una poppante. Mi pog­giò sul letto accanto a lui.
«Vieni a sederti qui», suggerì, sfiorandomi la mano con la sua, gelida. «Come va il cuore?».
«Dimmelo tu. Di sicuro lo senti meglio di me».
La sua risata soffocata fece tremare il letto.
Restammo in silenzio, in attesa che le mie pulsazioni rallen­tassero. Iniziavo a rendermi conto che mio padre era in casa ed Edward in camera mia.
«Posso essere umana per un minuto?».
«Senz'altro». Con un gesto m'indicò che potevo procedere.
«Resta lì», dissi, sforzandomi di suonare severa.
«Sissignora». E finse di diventare una statua, seduta sul bor­do del mio letto.Mi alzai, raccolsi il pigiama dal pavimento e il beauty case dalla scrivania. Spensi la luce e sgattaiolai via, chiudendo la porta. Dalle scale arrivava il vociare del televisore al piano di sotto. Chiusi la porta del bagno sbattendola forte, per evitare che Charlie salisse a ficcare il naso.Volevo sbrigarmi. Mi lavai i denti con energia, scrupolo e velocità, per rimuovere ogni traccia delle lasagne. Ma non po­tevo mettere fretta all'acqua calda della doccia. Mi sciolse la schiena e mi rilassò. Il profumo familiare dello shampoo mi fece sentire come se fossi ancora la stessa persona che quel mattino era uscita di casa. Cercai di non pensare che Edward mi stava aspettando in camera mia, per non dover ricomincia­re da capo tutto il processo di rilassamento. Finita la doccia, non avevo più scuse per prendere tempo. Mi asciugai in fretta e furia. Infilai una maglietta bucherellata e i pantaloni grigi del­la tuta. Era troppo tardi per rimpiangere di non aver messo in valigia il pigiama di seta di Victoria's Secret che mia madre mi aveva regalato un paio di compleanni prima, dimenticato in un qualche cassetto di Phoenix con le etichette ancora attaccate.Mi strofinai i capelli con l'asciugamano e li pettinai alla bell'e meglio. Gettai l'asciugamano umido nella cesta, riposi spazzolino e dentifricio nel beauty. Poi di corsa scesi le scale, affin­ché Charlie notasse che ero in pigiama con i capelli bagnati.[…]
Schizzai in camera chiudendo la porta con cura.
Edward non si era mosso di un millimetro, era una statua di Adone appollaiato sulla mia coperta sbiadita. Di fronte al mio sorriso, le sue labbra sussultarono e la statua riprese vita.Mi squadrò dalla testa ai piedi, per osservare i capelli umidi e la maglietta sbrindellata. Alzò un sopracciglio. «Carina».
Non mi convinceva.
«No, sul serio, stai bene».
«Grazie», sussurrai. Mi sistemai come prima, al suo fianco, sedendo sul letto a gambe incrociate.
«A che pro tutta questa preparazione e il resto?», chiese, ve­dendomi assorta sulle venature del pavimento.
«Charlie ha il sospetto che me ne possa sgattaiolare via di nascosto».
«Ah... E perché?». Come se non fosse capace di leggere chiaramente nella mente di Charlie tutto ciò che io potevo sol­tanto sospettare.
«A quanto pare, sono un po' troppo su di giri».
Mi guardò bene in faccia, sollevandomi il mento.
«Ti trovo accaldata, in effetti».
Avvicinò lentamente il suo viso al mio, sfiorandomi con la guancia gelata. Restai assolutamente immobile.«Mmm...», gemette con un respiro profondo.
Con lui che mi toccava, così vicino, era molto difficile for­mulare una domanda coerente. Mi ci volle un minuto buono per riuscire ad aprire bocca di nuovo.
«Mi sembra che ora starmi vicino sia... molto più facile, per te».
«Ti sembra?», mormorò, sfiorandomi l'incavo del collo con la punta del naso. Sentii la sua mano, più leggera delle ali di una farfalla, ravviare all'indietro i miei capelli bagnati per sco­prire la pelle dietro l'orecchio, posarvi le labbra.
«Molto, molto più facile», dissi, senza che mi uscisse il fiato.
«Mmm».
«Perciò, mi chiedevo...», cercai di ricominciare, ma persi il filo del discorso perché le sue dita avevano preso a seguire il profilo del mio collo, fino alle spalle.
«Sì?», mi alitò.
«Secondo te», la voce mi tremò, con mio imbarazzo, «qual è il motivo?».Sentii la sua risata vibrarmi sul collo. «La ragione domina sugli istinti».
Mi allontanai ritraendomi; lui rimase impietrito - non lo sentivo più nemmeno respirare.Incrociammo i nostri sguardi attenti. La sua espressione si fece più rilassata, ma allo stesso tempo perplessa.
«Ho fatto qualcosa di male?».
«No... al contrario. Mi stai facendo impazzire».
Meditò qualche istante, e quando aprì bocca sembrava com­piaciuto: «Davvero?». Il suo viso si andò illuminando di un sorriso trionfante.
«Ti aspetti che parta un applauso?».
Fece una risatina. «È solo che sono rimasto positivamente sorpreso. Nell'ulti­mo... centinaio di anni non ho mai immaginato che potesse succedermi qualcosa del genere. Non credevo che avrei desi­derato stare con qualcuno... che non fosse come fratello o so­rella. E poi, scoprire che malgrado sia totalmente nuovo per me, sono bravo... a stare con te...».
«Tu sei bravo in tutto». Fece spallucce, come per darmene atto, ed entrambi ridem­mo sottovoce.
«Ma com'è possibile che adesso sia così facile? Oggi pome­riggio...».
«Non è facile», sospirò, «ma oggi pomeriggio, ero ancora... indeciso. Mi dispiace, è stato un comportamento imperdona­bile».
«No, non imperdonabile».
«Grazie». Sorrise, poi abbassò lo sguardo. «Vedi, non ero sicuro di essere abbastanza forte...». Mi prese la mano e se la premette piano contro la guancia. «E finché sentivo come an­cora possibile che venissi... sopraffatto», respirò il profumo tra le mie dita, «ero... vulnerabile. Poi mi sono convinto che sono abbastanza forte, che non ci sarebbe stato nessun rischio di... di poter...». Non l'avevo mai visto così in difficoltà con le parole. Era davvero... umano.
«Perciò, ora non corro più rischi?».
«La ragione domina gli istinti», ripeté, e sfoderò il suo sorri­so, brillante anche nell'oscurità.
«Be', è stato facile».Gettò indietro la testa e rise, sottovoce ma con gusto.
«Facile per te!». E mi sfiorò il naso con la punta del dito.
L'istante dopo tornò serio.
«Ci sto provando», sussurrò, un filo di dolore nella sua voce. «Se dovesse diventare... troppo, sono convinto che riu­scirei ad andarmene».
Che tristezza. Non mi piaceva mai quando parlava di andar­sene.
«E domani sarà più difficile. Ora sono assuefatto alla presen­za costante del tuo odore. Se ti resto lontano troppo a lungo mi toccherà ricominciare da capo. Non proprio da zero, però».
«Allora non andartene», risposi, incapace di nascondere il desiderio.
«Sono d'accordo», rispose, rivolgendomi un sorriso gentile e sereno. «Pronto per le manette: sono tuo prigioniero». Ma, mentre parlava, furono le sue mani a stringere i miei polsi. Rideva di un riso sommesso e musicale. Era più ilare quella sera di quanto lo fosse stato in tutto il tempo trascorso assieme pri­ma di allora.
«Sembri più... ottimista del solito. Non ti ho mai visto così di buonumore».
«Non dovrebbe essere così?». Sorrise. «La gloria del primo amore, e tutto il resto. È incredibile quanta differenza passi tra apprendere le cose dai libri, dai film, e viverle in prima perso­na nella realtà, vero?».
«Senza dubbio è tutto molto più intenso di quanto avessi immaginato».
Poi riprese di slancio, parlò a raffica e dovetti concentrarmi per cogliere tutto: «Per esempio, il sentimento della gelosia. Ne avrò letto migliaia di volte, l'ho visto interpretare in mi­gliaia di drammi e film. Pensavo di comprenderlo perfetta­mente. Ma sono rimasto stupito... Ricordi quando Mike ti ha invitata al ballo?». Mi fissò negli occhi.
Annuii, benché ricordassi quel giorno per un altro motivo: «È stato quando hai ricominciato a parlarmi».
«Sono rimasto sorpreso dall'ondata di irritazione, quasi di furia, che ho sentito. Sulle prime non ho riconosciuto cosa fos­se. A innervosirmi più del lecito, poi, c'era che non riuscivo a leggerti nel pensiero, non riuscivo a capire perché rifiutassi l'in­vito. Soltanto per non dare un dispiacere alla tua amica? C'era qualcun altro? In ogni caso, sapevo che non erano fatti miei, non dovevo badarci. Ho cercato di non badarci. E poi la fila si è allungata». Ridacchiò. Io rimasi zitta e seria, nell'oscurità.
«Restai in ascolto, pieno di irrazionale nervosismo, ansioso di sentire che risposta avresti dato loro, di leggere le espressio­ni sul tuo viso. Non nascondo che nel vedere il fastidio che ti suscitavano provavo sollievo. Ma non mi sentivo rassicurato. Così ho iniziato a venire qui, proprio quella sera. Ho passa­to tutta la notte combattuto, mentre ti guardavo dormire, divi­so tra ciò che ritenevo giusto, morale, etico, e ciò che desidera­vo. Sapevo che se avessi continuato a ignorarti, come avrei do­vuto, o se fossi sparito per qualche anno fino alla tua partenza da Forks, avresti finito per dire di sì a Mike o a uno come lui. Che rabbia.E poi... nel sonno ti ho sentita pronunciare il mio nome. Tanto chiaramente da farmi pensare che ti fossi svegliata. Ti sei rigirata nel letto, hai mormorato di nuovo il mio nome e sospi­rato. Quel momento mi ha sbalordito, e segnato. Ho capito che non avrei più potuto ignorarti». Restò in silenzio per qual­che istante, probabilmente in ascolto dei battiti aritmici del mio cuore.
«La gelosia... che cosa strana. Molto più potente di quanto mi aspettassi. E irrazionale! Anche poco fa, quando Charlie ti ha chiesto di quel vile di Mike Newton...», scosse la testa, ar­rabbiato.«Ecco, stavi ascoltando, avrei dovuto immaginarlo».«Certo che sì».
«Ti ha fatto ingelosire, eh?».«Per me è una novità. Stai resuscitando l'essere umano che è in me, e tutto ciò che sento è più forte, perché nuovo».[…]
«Per quasi novant'anni ho vissuto tra quelli della mia specie, e della tua... sempre certo di bastare a me stesso, senza sapere ciò che stavo cercando. E senza trovare nulla, perché non eri ancora nata».
«Non mi sembra affatto giusto», sussurrai, con la testa sul suo petto, seguendo il ritmo del suo respiro. «Io non ho dovu­to aspettare nemmeno un secondo. Perché dovrebbe andarmi così liscia?».
«Hai ragione», rispose, divertito. «Dovrei proprio renderte­la più difficile. Una volta per tutte». Mi strinse i polsi, nella presa delicata di una sola mano. Accarezzò dolcemente i miei capelli umidi, dalla testa alle spalle. «Dopotutto sei soltanto costretta a rischiare la vita ogni secondo che passi assieme a me, e non è granché. Ti tocca soltanto voltare le spalle alla na­tura, all'umanità... cosa vuoi che sia?».
«Pochissimo. Non mi sembra di dover sopportare una gran rinuncia».
«Non ancora». All'improvviso la sua voce si riempì di un antico dolore.Cercai di scostarmi per poterlo guardare in faccia, ma la stretta della sua mano attorno ai polsi era ferrea.«Cosa...», cominciai a domandargli, ma lui si irrigidì imme­diatamente. Restai impietrita, lui lasciò le mie mani all'improv­viso e sparì. Per poco non cadevo in avanti.
«Sdraiati!», sibilò. Non riuscivo a capire in quale parte del­l'oscurità si fosse nascosto.Mi avvolsi nella coperta, rannicchiandomi sul fianco come dormivo di solito. Sentii la porta aprirsi, era Charlie che sbir­ciava in camera per controllare che fossi dove dovevo essere. Respiravo regolare e pesante, accentuando il movimento delle spalle a ogni respiro.
Passò un minuto interminabile. Restai in ascolto, non ero si­cura di aver udito la porta chiudersi. Poi sentii il braccio di Edward attorno a me, sotto le coperte, e le sue labbra accanto all'orecchio.
«Sei una pessima attrice... secondo me non farai mai car­riera».
«Accidenti». Il cuore mi batteva all'impazzata.Lui prese a canticchiare una melodia che non riconobbi, sembrava una ninna nanna.
«Devo cantarti qualcosa per farti addormentare?», chiese interrompendosi.
«Ah, certo. Come se potessi dormire con te accanto al letto!».«Lo fai sempre».«Ma prima non sapevo che fossi qui», risposi seccamente.
«Be', se non vuoi dormire...», suggerì, ignorando il tono della mia voce. Sospesi il respiro.
«Se non voglio dormire...».Fece una risatina. «Cosa preferisci fare?».
Non potei rispondere subito.
«Non saprei», dissi infine.
«Quando avrai deciso, dimmelo». Sentivo il suo fiato freddo sul collo e il naso che mi sfiorava il mento e respirava il mio profumo. «Pensavo ti ci fossi abituato».
«Il fatto che io resista al vino non significa che non ne possa apprezzare il bouquet», sussurrò. «Il tuo odore è molto florea­le, sai di lavanda... o di fresia. È dissetante».
«Sì, è proprio una giornataccia, se nessuno mi dice quanto sono mangiabile».
Ridacchiò e tirò un sospiro.
«Ho deciso», decretai, «voglio sapere qualcos'altro di te».
«Chiedi pure».
Scelsi la più importante tra le mie domande. «Perché lo fai? Ancora non capisco perché ti sforzi così tanto di resistere a ciò che... sei. Ti prego, non fraintendermi, è ovvio che ne sono contenta. Ma non capisco quale sia la causa scatenante».
Indugiò, prima di rispondere: «È una bella domanda, e non è la prima volta che la sento. Anche gli altri - la maggior parte dei nostri simili, quelli che non rinnegano la propria natura - si chiedono come facciamo a vivere così. Ma vedi, il fatto che ci sia... toccata in sorte una certa condizione... non significa che non possiamo scegliere di innalzarci, di superare i confini di un destino che non abbiamo scelto noi. Cercando di conservare il più possibile l'essenza di un'umanità».
Ero impietrita, immobile, in un silenzio reverenziale.
«Ti sei addormentata?», bisbigliò, dopo qualche minuto.
«No».
«È soltanto questo che volevi sapere?».Alzai gli occhi al cielo. «No davvero!».
«Cos'altro?».
«Perché sei capace di leggere nel pensiero? Perché soltanto tu? E Alice... com'è possibile che veda il futuro?».
Lo sentii stringersi nelle spalle. «Neanche noi lo sappiamo con precisione. Carlisle ha una teoria... secondo lui ognuno di noi porta con sé, nella sua nuova vita, una parte amplificata delle proprie caratteristiche umane. Io, per esempio, probabil­mente ero una persona molto sensibile all'umore di chi mi sta­va attorno. E così Alice, ovunque fosse, forse aveva capacità precognitive».[…]
«Sei pronta per addormentarti?», chiese, spezzando quel breve silenzio. «O hai altre domande?».
«Soltanto un milione o due».
«Ci sono ancora domani, e dopodomani, e il giorno dopo...», mi fece presente. Sorrisi, euforica.
«Mi prometti che non svanirai con l'arrivo del giorno?». Vo­levo esserne sicura. «Dopotutto, sei una creatura leggendaria».
«Non ti lascerò». Suonò come una promessa solenne.
«Ancora una, allora, per stasera...», arrossii. Che fosse buio mi aiutava poco: di sicuro Edward si accorse dell'improvviso calore sulla mia pelle.
«Quale?».
«No, lasciamo perdere. Ho cambiato idea».
«Bella, puoi chiedermi qualsiasi cosa».
Non risposi, e lui sbuffò: «Continuo a pensare che non po­terti leggere nel pensiero col tempo sarà meno frustrante. Inve­ce è sempre peggio».
«Sono felice che tu non sia capace di leggermi nel pensiero. Già è grave che origli quando parlo nel sonno».
«Per favore». La sua voce diventò così convincente, così ir­resistibile.Feci segno di no.
«Se non me lo dici, darò per scontato che sia qualcosa di molto peggio di ciò che è», minacciò cupo. «Per favore». Riec­co il tono implorante.
«Be'...», azzardai, e per fortuna non riusciva a vedermi in faccia.
«Sì?».
«Hai detto che Rosalie ed Emmett si sposeranno presto... Il loro matrimonio è uguale a... quelli umani?». Capì cosa intendevo e scoppiò a ridere: «È lì che vuoi arri­vare?».Cincischiavo, incapace di rispondere.«Sì, immagino che sia più o meno la stessa cosa», continuò. «Te l'ho detto, molti degli istinti umani sopravvivono, sono solo nascosti dietro altri e più potenti desideri».
«Ah».
«Che scopo aveva questa domanda?».
«Be', mi chiedevo, in effetti, se... io e te... un giorno...».Si fece subito serio. Lo sentivo nell'immobilità del suo cor­po. Anch'io restai impietrita, automaticamente.
«Non penso che... che... per noi sarebbe possibile».
«Perché sarebbe troppo difficile per te, sentirmi così... vi­cina?».
«Quello sarebbe senz'altro un problema. Ma ora pensavo ad altro. Il fatto è che sei così tenera, così fragile. Quando mi sei accanto devo badare a ogni mio gesto, per non farti del male. Potrei ucciderti senza sforzo, Bella, anche per sbaglio». La sua voce era diventata un debole sussurro. Avvicinò una mano e ne posò il palmo freddo sulla mia guancia. «Se avessi fretta... se per un secondo non facessi attenzione, potrei sfon­darti il cranio con una carezza. Non ti rendi conto di quanto tu sia friabile. Non posso mai, mai permettermi di perdere il con­trollo, se ci sei tu. In nessun senso, mai». Attese una risposta, sempre più ansioso di fronte al mio si­lenzio. «Sei spaventata?».
Aspettai un altro minuto, per sembrare sincera: «No. Tutto bene».
Per un momento sembrò perso in una riflessione. «Adesso, però, sono curioso io», disse, rasserenandosi. «Hai mai...». La­sciò la domanda in sospeso, in maniera teatrale.
«Certo che no». Arrossii. «Te l'ho già detto, nessuno mi ha mai fatto sentire così, nemmeno lontanamente».
«Lo so. Però conosco i pensieri delle altre persone. E so che sentimento e sensualità non vanno sempre di pari passo».
«Per me sì. Perlomeno adesso che li sento nascere», sospirai.«Bene. Se non altro, una cosa in comune l'abbiamo». Sem­brava soddisfatto.
«I tuoi istinti umani...», m'interruppi, e lui attese che com­pletassi la frase. «Be', mi trovi minimamente attraente anche in quel senso?». Rise e mi arruffò i capelli quasi asciutti. «Non sarò un essere umano, ma un uomo sì».
Senza volerlo, sbadigliai.«Ho risposto alle tue domande, ora è meglio che tu dorma».
«Non so se ci riuscirò».«Vuoi che me ne vada?». «No!», dissi, a voce troppo alta.Rise, e iniziò a sussurrare la stessa ninna nanna sconosciuta di prima: la voce di un arcangelo che mi accarezzava l'orecchio. Più stanca di quanto pensassi, esausta come non mai, dopo una lunga giornata e uno stress mentale ed emotivo quale non avevo mai vissuto, mi abbandonai al sonno tra le sue braccia fredde.

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