Puntata settimanale della nostra rubrica Pioggia di parole.
Uno dei passi di twilight più significativi...Edward e Bella fermi con lauto davanti casa di bella a guardare il crepuscolo...
E poi un'anticipazione della puntata della prossima settimana;)
Enjoy!
Giusy;*

Non ricordavo un'altra occasione in cui avessi parlato così tanto. Spesso mi sentivo in imbarazzo, ero sicura di annoiarlo. Ma la sua espressione assorta e l'interminabile sequela di domande mi obbligavano a continuare. Si trattava perlopiù di curiosità innocenti e discrete. Solo alcune stuzzicarono la mia facilità ad arrossire. Ma ogni mio minimo rossore dava il via a un nuovo giro di domande.
Come quando mi chiese quale fosse la mia pietra preferita, e risposi «topazio» senza nemmeno pensarci. Mi stava tartassando, subissandomi con una velocità tale da farmi sentire in uno di quei test psicologici in cui si risponde con la prima parola che passa per la testa. Ero sicura che avrebbe continuato imperterrito a seguire la lista che aveva in mente, di qualunque genere fosse, se non mi avesse vista arrossire. Mi ero vergognata perché fino a poco tempo prima la mia pietra preferita era stata il granato. E guardando i suoi occhi di topazio era impossibile non ricordare perché avessi cambiato idea. Ovviamente, non si diede per vinto finché non confessai il motivo del cambiamento.
«Dimmelo», ordinò infine, dopo che i tentativi di persuasione erano falliti; e fallivano solo perché stavo ben attenta a non incrociare il suo sguardo.
«È il colore dei tuoi occhi, oggi», sospirai, senza distogliermi dalle mani che giocherellavano con una ciocca di capelli. «Dovessi chiedermelo tra due settimane ti risponderei che è l'onice». Grazie alla mia onestà involontaria avevo lasciato trapelare più informazioni del necessario, ed ero preoccupata che scatenassero la solita strana rabbia che nasceva quando, incespicando, rivelavo con troppa chiarezza la mia ossessione per lui.
[…]
Nel suo modo tranquillo e pacato di indagare, mi fece parlare senza sosta, e alla luce fioca del temporale dimenticai qualsiasi imbarazzo per il fatto che stavo monopolizzando la conversazione. Conclusa la descrizione della mia stanza disordinata a Phoenix, lui rimase in silenzio, anziché rispondere con un'altra domanda.
«Hai finito?», chiesi, sollevata.
«Neanche per sogno... ma tra poco tornerà tuo padre».
«Charlie!», esclamai in un fiato, ricordandomi improvvisamente della sua esistenza. Guardai il cielo scuro e gonfio di pioggia, senza riuscire a leggerlo. «Quanto è tardi?», mi chiesi ad alta voce, controllando l'orologio. Ne rimasi sorpresa: Charlie sarebbe arrivato nel giro di qualche minuto.
«È il crepuscolo», mormorò Edward, lo sguardo puntato a ovest, verso un orizzonte coperto di nubi. Sembrava pensieroso, come se la sua mente vagasse chissà dove. Rimasi a osservarlo, mentre i suoi occhi si perdevano là fuori, al di là del parabrezza.
All'improvviso scivolarono di nuovo nei miei.
«Per noi è il momento più sicuro della giornata», disse, rispondendo alla domanda silenziosa del mio sguardo. «L'ora più leggera, ma in un certo senso, anche la più triste... la fine di un altro giorno, il ritorno della notte. L'oscurità è troppo prevedibile, non credi?». Sorrise malinconico.
«A me la notte piace. Se non ci fosse il buio non vedremmo le stelle. Be', non che qui si vedano granché».
Rise, e l'atmosfera si alleggerì.
«Charlie tornerà tra qualche minuto. Perciò, a meno che tu non voglia dirgli che sabato verrai con me...». Mi guardava di sottecchi.
«Grazie, ma... no, grazie». Raccolsi i libri, ritrovandomi indolenzita dalla sosta prolungata sul sedile. «Quindi, domani tocca a me?».
«Certo che no!». Si atteggiò da irritato, per scherzo. «Ti ho detto che non ho ancora finito, no?».
«E che altro manca?».
«Lo scoprirai domani». Si allungò ad aprirmi la portiera, e la sua vicinanza improvvisa mi scatenò palpitazioni frenetiche.
Una piccola anticipazione di quella che sarà la prossima puntata, forse la puntata più importante.
Tutto ha avuto inizio con un sogno e con la scrittura di un magico capitolo…
«Non siamo ancora arrivati?», lo stuzzicai, fingendo di lamentarmi.
«Quasi». Sorrise del mio cambiamento di umore. «Vedi che laggiù c'è più luce?».
Osservai la vegetazione fitta. «Ehm, dovrei?».
Ridacchiò. «In effetti, forse è un po' presto, per i tuoi occhi».
«Mi ci vuole una visita dall'oculista», mormorai. La sua risatina divenne un ghigno.
Eppure, dopo un altro centinaio di metri, anch'io notai tra gli alberi un chiarore, una chiazza di luce gialla, anziché verde. Accelerai, sempre più agitata. In silenzio, lasciò che lo precedessi.
Raggiunsi i confini della chiazza di luce e, oltrepassate le ultime felci, entrai nel posto più grazioso che avessi mai visto. Era una radura, piccola, perfettamente circolare, piena di fiori di campo viola, gialli e bianchi. Si sentiva anche la musica scrosciante di un ruscello, nei dintorni. Il sole era alto e riempiva lo spiazzo di luce morbida. Camminavo lentamente, a bocca aperta, tra l'erba soffice e i fiori che dondolavano, sfiorati dall'aria calda e dorata. Mi voltai appena, desiderosa di condividere quella visione con Edward, ma lui non era più alle mie spalle. Mi guardai attorno, allarmata, cercandolo. Infine lo notai, ai margini del prato, nascosto nel fitto della foresta; mi guardava con aria circospetta. Solo in quell'istante ricordai ciò che la bellezza di quel posto aveva momentaneamente cancellato: l'enigma della luce solare che Edward aveva promesso di svelarmi.
Feci un passo verso di lui, gli occhi accesi di curiosità. Sembrava incerto, riluttante. Gli rivolsi un sorriso di incoraggiamento, facendogli segno di avanzare, e mi avvicinai ancora. A un suo cenno, mi arrestai dov'ero, i piedi ben piantati per terra.
Fece quel che mi sembrò un respiro profondo, poi uscì, nella luce abbagliante del sole di mezzogiorno.
Come quando mi chiese quale fosse la mia pietra preferita, e risposi «topazio» senza nemmeno pensarci. Mi stava tartassando, subissandomi con una velocità tale da farmi sentire in uno di quei test psicologici in cui si risponde con la prima parola che passa per la testa. Ero sicura che avrebbe continuato imperterrito a seguire la lista che aveva in mente, di qualunque genere fosse, se non mi avesse vista arrossire. Mi ero vergognata perché fino a poco tempo prima la mia pietra preferita era stata il granato. E guardando i suoi occhi di topazio era impossibile non ricordare perché avessi cambiato idea. Ovviamente, non si diede per vinto finché non confessai il motivo del cambiamento.
«Dimmelo», ordinò infine, dopo che i tentativi di persuasione erano falliti; e fallivano solo perché stavo ben attenta a non incrociare il suo sguardo.
«È il colore dei tuoi occhi, oggi», sospirai, senza distogliermi dalle mani che giocherellavano con una ciocca di capelli. «Dovessi chiedermelo tra due settimane ti risponderei che è l'onice». Grazie alla mia onestà involontaria avevo lasciato trapelare più informazioni del necessario, ed ero preoccupata che scatenassero la solita strana rabbia che nasceva quando, incespicando, rivelavo con troppa chiarezza la mia ossessione per lui.
[…]
Nel suo modo tranquillo e pacato di indagare, mi fece parlare senza sosta, e alla luce fioca del temporale dimenticai qualsiasi imbarazzo per il fatto che stavo monopolizzando la conversazione. Conclusa la descrizione della mia stanza disordinata a Phoenix, lui rimase in silenzio, anziché rispondere con un'altra domanda.
«Hai finito?», chiesi, sollevata.
«Neanche per sogno... ma tra poco tornerà tuo padre».
«Charlie!», esclamai in un fiato, ricordandomi improvvisamente della sua esistenza. Guardai il cielo scuro e gonfio di pioggia, senza riuscire a leggerlo. «Quanto è tardi?», mi chiesi ad alta voce, controllando l'orologio. Ne rimasi sorpresa: Charlie sarebbe arrivato nel giro di qualche minuto.
«È il crepuscolo», mormorò Edward, lo sguardo puntato a ovest, verso un orizzonte coperto di nubi. Sembrava pensieroso, come se la sua mente vagasse chissà dove. Rimasi a osservarlo, mentre i suoi occhi si perdevano là fuori, al di là del parabrezza.
All'improvviso scivolarono di nuovo nei miei.
«Per noi è il momento più sicuro della giornata», disse, rispondendo alla domanda silenziosa del mio sguardo. «L'ora più leggera, ma in un certo senso, anche la più triste... la fine di un altro giorno, il ritorno della notte. L'oscurità è troppo prevedibile, non credi?». Sorrise malinconico.
«A me la notte piace. Se non ci fosse il buio non vedremmo le stelle. Be', non che qui si vedano granché».
Rise, e l'atmosfera si alleggerì.
«Charlie tornerà tra qualche minuto. Perciò, a meno che tu non voglia dirgli che sabato verrai con me...». Mi guardava di sottecchi.
«Grazie, ma... no, grazie». Raccolsi i libri, ritrovandomi indolenzita dalla sosta prolungata sul sedile. «Quindi, domani tocca a me?».
«Certo che no!». Si atteggiò da irritato, per scherzo. «Ti ho detto che non ho ancora finito, no?».
«E che altro manca?».
«Lo scoprirai domani». Si allungò ad aprirmi la portiera, e la sua vicinanza improvvisa mi scatenò palpitazioni frenetiche.
Una piccola anticipazione di quella che sarà la prossima puntata, forse la puntata più importante.
Tutto ha avuto inizio con un sogno e con la scrittura di un magico capitolo…
«Non siamo ancora arrivati?», lo stuzzicai, fingendo di lamentarmi.
«Quasi». Sorrise del mio cambiamento di umore. «Vedi che laggiù c'è più luce?».
Osservai la vegetazione fitta. «Ehm, dovrei?».
Ridacchiò. «In effetti, forse è un po' presto, per i tuoi occhi».
«Mi ci vuole una visita dall'oculista», mormorai. La sua risatina divenne un ghigno.
Eppure, dopo un altro centinaio di metri, anch'io notai tra gli alberi un chiarore, una chiazza di luce gialla, anziché verde. Accelerai, sempre più agitata. In silenzio, lasciò che lo precedessi.
Raggiunsi i confini della chiazza di luce e, oltrepassate le ultime felci, entrai nel posto più grazioso che avessi mai visto. Era una radura, piccola, perfettamente circolare, piena di fiori di campo viola, gialli e bianchi. Si sentiva anche la musica scrosciante di un ruscello, nei dintorni. Il sole era alto e riempiva lo spiazzo di luce morbida. Camminavo lentamente, a bocca aperta, tra l'erba soffice e i fiori che dondolavano, sfiorati dall'aria calda e dorata. Mi voltai appena, desiderosa di condividere quella visione con Edward, ma lui non era più alle mie spalle. Mi guardai attorno, allarmata, cercandolo. Infine lo notai, ai margini del prato, nascosto nel fitto della foresta; mi guardava con aria circospetta. Solo in quell'istante ricordai ciò che la bellezza di quel posto aveva momentaneamente cancellato: l'enigma della luce solare che Edward aveva promesso di svelarmi.
Feci un passo verso di lui, gli occhi accesi di curiosità. Sembrava incerto, riluttante. Gli rivolsi un sorriso di incoraggiamento, facendogli segno di avanzare, e mi avvicinai ancora. A un suo cenno, mi arrestai dov'ero, i piedi ben piantati per terra.
Fece quel che mi sembrò un respiro profondo, poi uscì, nella luce abbagliante del sole di mezzogiorno.
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