domenica 13 settembre 2009

BUON COMPLEANNO BELLA!!!

twilighters!!!
Oggi è un giorno più che speciale per tanti motivi!!!
E’ il compleanno di Bella e ci teniamo a festeggiarlo!
Compirebbe 22 se contassimo gli anni umani, ma sono 3 da vampira.
Così come è stato con Edward, piccolo video con tante foto come regalino…



E poi vogliamo ricordare insieme i compleanni che Bella ha festeggiato…sono 2, uno da umana e uno da vampira, anche se il secondo, soprattutto per Bella stessa non deve contare!eheheh ( 18 anni e 12 mesi meno 3 giorni non sono 19 anni eh?)
Proprio così, doppia puntata speciale di pioggia di parole con il peggiore (quello di New Moon) e il migliore (quello di Breaking Dawn) compleanno che Bella potesse mai avere…tutto sta nei regali, in entrambi i casi! XD

Enjoy!

Staff twilightersicule


****BUON COMPLEANNO BELLA!!!****

Incrociai le braccia e non mi spostai di un millimetro, restando sotto la pioggia. «È il mio compleanno, non mi è concesso di guidare?».
«Sto fingendo che non lo sia, come hai chiesto tu».
«Se non è il mio compleanno, stasera non sono obbligata a venire a casa tua...».
«Va bene». Chiuse la portiera e andò ad aprire quella del guidatore. «Buon compleanno».
«Sssh...». Cercai di zittirlo, senza troppo entusiasmo. Mi arrampicai al posto di guida, rimpiangendo che non avesse insistito.
Mentre guidavo, Edward giocherellava con la radio e scuoteva la testa in segno di disapprovazione.
«La ricezione è davvero pessima».
Aggrottai le sopracciglia. Non mi piaceva sentirlo criticare il mio mezzo. Era un signor pick-up: aveva una gran personalità.
«Vuoi un impianto migliore? Guida la tua macchina». Il piano di Alice aveva aggiunto talmente tanto nervosismo al mio umore già grigio da rendermi più acida di quanto desiderassi. Con Edward non perdevo mai la calma e di fronte alla mia rispostaccia trattenne a stento le risate.
Parcheggiai di fronte a casa di Charlie ed Edward mi si avvicinò prendendo il mio viso tra le mani. Mi sfiorava con delicatezza, premendo la punta delle dita sulle mie tempie, le guance, il profilo del mento. Come fossi un oggetto fragilissimo. Ed era proprio cosi, soprattutto in confronto a lui.
«Dovresti essere di buonumore. Se non oggi, quando?», sussurrò. Sentivo sul viso il suo dolce respiro.
«E se non volessi essere di buonumore?», chiesi, col fiato corto.
I suoi occhi ardevano dorati. «Peccato».
Quando si fece ancora più vicino e posò le labbra ghiacciate sulle mie, la testa mi girava già. Proprio come voleva, riuscì a farmi dimenticare qualsiasi affanno, occupata com'ero a ricordarmi di inspirare ed espirare.
La sua bocca, fredda, morbida e delicata, indugiò sulla mia, finché non lo strinsi forte e mi gettai nel bacio con un eccesso di entusiasmo. Lo sentii sorridere, mentre si allontanava e scioglieva l'abbraccio.
Per salvarmi la vita, Edward aveva posto molti confini di sicurezza alla nostra relazione fisica. Benché rispettassi il suo bisogno di mantenere una certa distanza tra la mia pelle e i suoi denti affilati come rasoi e zeppi di veleno, quando mi baciava tendevo a dimenticare particolari così insignificanti.
«Fai la brava, per favore», sussurrò a un centimetro dal mio collo. Posò di nuovo le labbra sulle mie, con delicatezza, e sciolse definitivamente l'abbraccio incrociandomi le braccia sullo stomaco.
Sentivo un battito martellante nelle orecchie. Mi posai una mano sul cuore. Lo sentivo battere all'impazzata.
«Pensi che migliorerò mai?», chiesi più a me stessa che a lui. «Che un giorno il mio cuore la smetterà di cercare di uscirmi dal petto ogni volta che mi sfiori?».
«Spero proprio di no», mi rispose vagamente compiaciuto. […]
Ci avvicinavamo alla meta. Le finestre dei primi due piani di casa Cullen erano tutte accese. Appesa alla veranda spiccava una fila di lanterne giapponesi, il cui bagliore si rifletteva delicato sugli enormi cedri che circondavano l'edificio. Grossi vasi di fiori - rose rosa - decoravano la scalinata di fronte alla porta principale.
Mi lasciai sfuggire un gemito.
Edward fece qualche respiro profondo per calmarsi. «È una festa», ribadì. «Cerca di fare la brava ragazza».
«Certo», mormorai.
Scese ad aprirmi la portiera e mi offrì la mano.
«Ho una domanda». Restò in attesa, allarmato.
«Se sviluppo questo rullino», dissi giocando con la macchina fotografica, «vi si vedrà nelle foto?».
Scoppiò a ridere. E, senza mai smettere, mi aiutò a scendere, mi guidò lungo le scale e aprì la porta di casa.
Mi aspettavano tutti nel grande salotto bianco; quando entrai mi salutarono in coro, con un «Buon compleanno, Bella!», mentre io, a occhi bassi, arrossivo. Qualcuno, probabilmente Alice, aveva ricoperto ogni centimetro libero di candele rosa e dozzine di vasi di cristallo colmi con centinaia di rose. Su un tavolo, vicino al pianoforte a coda di Edward, sopra una tovaglia bianca spiccavano una torta di compleanno rosa, altri fiori, una pila di piatti di vetro e una piccola montagna di regali avvolti in carta argentata.
Cento volte peggio di quanto immaginassi.
Edward si accorse del mio disagio e per incoraggiarmi mi strinse forte con un braccio, baciandomi sul capo.
Carlisle ed Esme, i suoi genitori - incredibilmente giovani e carini come sempre - erano i più vicini alla porta. Esme mi abbracciò con cautela, sfiorandomi il viso con i capelli morbidi color caramello mentre mi baciava sulla fronte, e Carlisle mi cinse le spalle.
«Mi dispiace, Bella», sussurrò, «ma non siamo riusciti a trattenere Alice».
Dietro di loro c'erano Rosalie ed Emmett. Rosalie non sorrideva, ma perlomeno non m'incenerì con lo sguardo. Il volto di Emmett era illuminato dal sorriso. Non ci vedevamo da mesi e mi ero dimenticata di quanto straordinariamente bella fosse lei - bella quasi da star male. Ed Emmett, era sempre stato così... grosso? «Non sei cambiata per niente», disse lui fingendosi deluso. «Mi aspettavo di trovarti cambiata e invece eccoti qui, con le guance rosse di sempre».
«Grazie mille, Emmett», risposi arrossendo ancora di più.
Rise. «Devo uscire un attimo», fece una pausa e strizzò l'occhio ad Alice. «Non combinare guai, mentre sono via».
«Ci provo». Alice lasciò la mano di Jasper e mi si avvicinò, il sorriso sfavillante sotto le luci accese. Anche Jasper sorrideva, mantenendo le distanze. Alto e biondo, era appoggiato al corrimano, ai piedi della scala. Dopo i giorni in cui eravamo stati costretti a tenerci nascosti a Phoenix, pensavo che avesse superato l'avversione nei miei confronti. Invece, appena libero dall'obbligo di proteggermi, era tornato esattamente al punto di partenza, evitandomi ogni volta che poteva. Sapevo che non era una questione personale, ma soltanto una precauzione, e cercavo di non mostrarmene troppo toccata. Jasper aveva ancora qualche problema di adattamento alla dieta dei Cullen: gli era molto più difficile, rispetto agli altri, resistere all'odore del sangue umano, dato che era il meno allenato della famiglia.
«È ora di aprire i regali», dichiarò Alice. Mi prese a braccetto, con la mano fredda, e mi trascinò fino al tavolo con la torta e i pacchetti luccicanti.
Sfoderai la mia migliore espressione da martire. «Alice, ti avevo detto che non volevo nulla...».
«E io non ti ho ascoltata», m'interruppe, sfacciata. «Apri». Mi tolse di mano la macchina fotografica e la rimpiazzò con una grossa scatola quadrata e argentata.
Era tanto leggera da sembrare vuota. Il biglietto diceva che era un regalo di Emmett, Rosalie e Jasper. Senza pensarci, strappai la carta e fissai la scatola.
Era qualcosa di elettrico, con un nome pieno di numeri. Aprii la scatola per capirci qualcosa di più, ma in effetti era vuota.
«Ehm... grazie».
Rosalie riuscì addirittura a sorridere. Jasper sghignazzò. «È un'autoradio per il tuo pick-up», spiegò. «Emmett è andato subito a installarla, così non la potrai rifiutare».
Alice mi precedeva sempre.
«Jasper, Rosalie... grazie», dissi con un sorriso, e ripensai alle lamentele di Edward a proposito della radio, quel pomeriggio: evidentemente era tutto combinato. «Grazie, Emmett!», gridai.
Sentii la sua risata tonante rimbombare dal pick-up e anch'io non riuscii a trattenere un sorriso.
«Adesso apri quello mio e di Edward», disse Alice, così entusiasta che la sua voce somigliava a un trillo acutissimo. In mano aveva un piccolo involucro, quadrato e piatto.
Mi voltai e rivolsi a Edward uno sguardo inceneritore. «Avevi promesso».
Prima che potesse rispondere, rispuntò Emmett. «Appena in tempo!», esclamò. Spinse avanti Jasper, che si era avvicinato più del solito per guardare meglio.
«Non ho speso un centesimo», mi rassicurò Edward. Scostò una ciocca di capelli dal mio viso, e un fremito passò sulla mia pelle.
Feci un respiro profondo e mi rivolsi ad Alice. «Dammi», dissi rassegnata.
Emmett ridacchiò divertito.
Afferrai il pacchetto, lo sguardo puntato su Edward, mentre infilavo il dito sotto il bordo del rivestimento per strappare il nastro.
«Oh, cavolo», mormorai, quando la carta mi tagliò il dito; lo alzai per esaminare il danno. Dalla ferita invisibile colava una minuscola goccia di sangue.
Poi accadde tutto molto velocemente.
«No!», ruggì Edward. Si lanciò verso di me scagliandomi dall'altra parte del tavolo, che si rovesciò insieme alla torta, ai regali, ai fiori e piatti. Atterrai in una pioggia di frammenti di cristallo.
Jasper si scontrò con Edward e il fragore fu lo stesso di una valanga di rocce.
Si sentì un altro suono, un ringhio raccapricciante e cavernoso che nasceva dal petto di Jasper. Cercò di sfuggire alla presa di Edward, mordendo l'aria a pochi centimetri dal suo viso.
Emmett lo afferrò da dietro un istante dopo, bloccandolo nella sua presa d'acciaio, ma Jasper si dimenava, gli occhi impazziti e vuoti puntati verso di me.
Oltre allo spavento, sentivo anche una fitta lancinante. Ero caduta vicino al pianoforte, gettando le braccia in avanti per proteggermi, in mezzo alle schegge di vetro affilate. Dal polso al gomito, ormai il dolore m'invadeva, acuto e bruciante.
Confusa e disorientata, cercai di non badare al rosso vivo del sangue che mi colava dal braccio... e incrociai gli sguardi eccitati di sei vampiri improvvisamente famelici.

L'enorme sorriso che si aprì sul viso di Alice mi era familiare, in maniera bizzarra e opaca. Tutti improvvisamente mi sorrisero: Esme in modo dolce, Emmett emozionato, Rosalie un po' altezzosa, Carlisle bonario, Edward impaziente.
Alice schizzò nel salone anticipando gli altri, la mano tesa, circondata da una visibile aura di impazienza. Nel palmo della mano teneva una normalissima chiave d'ottone, a cui era stretto un gigantesco fiocco di seta rosa. Mi offrì la chiave e automaticamente strinsi la presa su Renesmee con il braccio destro, per aprire la mano sinistra. Alice vi lanciò la chiave.
«Buon compleanno!», squittì.
Alzai gli occhi al cielo. «Nessuno inizia a contare dal primo giorno di nascita», le ricordai. «Il primo compleanno è dopo un anno, Alice». Il suo sorriso si fece compiaciuto. «Non stiamo festeggiando il tuo compleanno da vampira. Non ancora. È il 13 settembre, Bella. Buon diciannovesimo compleanno!».
«Non esiste proprio!». Scossi decisa la testa e lanciai un'occhiata al sorriso furbo sul viso da diciassettenne di mio marito. «No, questo non conta. Ho smesso d'invecchiare tre giorni fa. Avrò per sempre diciotto anni».
«Pazienza», disse Alice liquidando le mie proteste con un'alzata di spalle. «Noi ti festeggiamo comunque, quindi fai la brava». Sospirai. Discutere con Alice era quasi sempre tempo perso.
Quando mi lesse negli occhi la resa, il ghigno che le aleggiava sulle labbra si dilatò a dismisura.
«Pronta ad aprire il regalo?», cantilenò.
«I regali», la corresse Edward e sfilò dalla tasca un'altra chiave: più lunga, argentata e con un fiocco blu meno vistoso. Mi sforzai di non alzare gli occhi al cielo. Avevo capito subito che chiave fosse: quella dell'"auto del dopo". Mi chiesi se dovessi sentirmi emozionata. Non mi pareva che la trasformazione in vampira avesse scatenato in me un'improvvisa passione per le auto sportive.
«Prima il mio», disse Alice e fece una linguaccia a Edward immaginandone la risposta.
«Il mio è più vicino».
«Sì, ma guarda com'è vestita». Il tono di Alice era quasi lamentoso. «È tutto il giorno che me la sorbisco in questo stato. L'estetica ha la precedenza assoluta».
Inarcai le sopracciglia e mi chiesi come intendesse cambiarmi d'abito con una chiave. Aveva riempito il bagagliaio di vestiti?
«Ce la giochiamo, va bene?», propose Alice. «Morra cinese».
Jasper ridacchiò ed Edward sospirò.
«Perché non mi dici subito chi vince? Così facciamo prima», replicò Edward impassibile.
Alice s'illuminò. «Vinco io. Perfetto».
«Tanto mi sa che è meglio se aspetto fino a domani mattina». Edward mi lanciò un sorriso sghembo e indicò con un cenno Jacob e Seth, più collassati che addormentati. Chissà quante ore insonni avevano trascorso, stavolta. «Credo sarebbe più divertente se anche Jacob fosse sveglio per la grande rivelazione, non vi pare? Almeno ci sarà qualcuno in grado di entusiasmarsi come si deve».
Gli restituii il ghigno. Mi conosceva bene.
«Evviva!», cantilenò Alice. […]
Alice mi porse la chiave infiocchettata, poi mi afferrò per il gomito e mi guidò verso la porta posteriore. «Dai, andiamo», trillò.
«È qui fuori?».
«Più o meno», rispose Alice spingendomi avanti. «Spero che il regalo ti piaccia», disse Rosalie. «È da parte di tutti noi. Soprattutto di Esme».
«Ma voi non venite?», chiesi, notando che nessuno si era mosso.
«Te lo lasciamo godere in privato», rispose Rosalie. «Poi ci racconterai...».
Emmett esplose in una risata sguaiata che per qualche motivo mi fece venir voglia di arrossire, anche se non capivo bene il perché.
In quel momento mi resi conto che in tante cose, l'allergia alle sorprese e una certa idiosincrasia per i regali, per esempio, non ero affatto cambiata. Era un sollievo e allo stesso tempo una rivelazione scoprire quanto della mia natura più vera e profonda mi avesse seguito nel mio nuovo corpo.
Non mi aspettavo di essere ancora me stessa, e nel constatarlo un ampio sorriso mi si dipinse sul volto.
Sorridevo ancora mentre Alice mi trascinava per il gomito nella notte violetta. Soltanto Edward ci accompagnava.
«Ecco l'entusiasmo, così mi piace», mormorò Alice in tono d'approvazione. Poi mi lasciò andare il braccio e con due agili balzi saltò dall'altra parte del fiume.
«Vieni, Bella!», mi esortò dalla sponda opposta.
Edward saltò nel momento in cui anch'io mi staccavo da terra. Era divertente proprio come lo era stato nel pomeriggio, forse anche di più, perché la notte rendeva i colori diversi e più intensi.
Alice si diresse verso nord con noi due al seguito. Era più facile seguire il frusciare dei suoi piedi sul terreno e la scia fresca del suo odore che cercare di distinguerne l'ombra nel fitto della vegetazione.
A un tratto, come in risposta a un segnale invisibile, fece dietrofront e schizzò fino al punto dove mi ero fermata. «Non attaccarmi», si raccomandò e balzò verso di me.
«Che fai?», chiesi e rabbrividii nel sentire che mi era salita in spalla e mi bendava gli occhi. Resistetti all'impulso di scrollarmela di dosso.
«Ti copro gli occhi».
«Potevo occuparmene io senza bisogno di fare tutto questo teatro», disse Edward.
«Non mi fido di te, scommetto che la lasceresti sbirciare. Prendila per mano e guidala».
«Alice, io...».
«Non preoccuparti, Bella. Fidati».
Sentii le dita di Edward intrecciarsi alle mie. «Ancora un briciolo di pazienza, Bella. Fra poco ci lascerà in pace e andrà a scocciare qualcun altro». Mi spinse avanti. Tenevo il suo passo senza difficoltà, non avevo paura di andare a sbattere contro un albero: tanto, nel caso, sarebbe stato l'albero a farsi male.
«Però potresti mostrare un po' d'entusiasmo anche tu, Edward», lo rimproverò Alice. «Il regalo lo facciamo anche a te».
«Hai ragione. Grazie ancora, Alice».
«Prego, prego». D'un tratto la voce prese a vibrarle d'emozione. «Stop. Girala un pochino verso destra. Ecco, così. Perfetto. Pronta?».
«Pronta», risposi. C'erano nuovi odori che catturavano la mia attenzione e accrescevano la mia curiosità, profumi che non appartenevano alla foresta. Caprifoglio. Legna bruciata. Rose. Segatura? Anche qualcosa di metallico. L'odore intenso di terra rivoltata di fresco. Mi tesi verso il mistero.
Alice scese dalle mie spalle e mi liberò gli occhi.
Fissai il buio violetto. Al centro di una piccola radura in mezzo alla foresta sorgeva una casetta di pietra, color grigio lavanda alla luce delle stelle.
Era incastonata così perfettamente nel paesaggio da sembrare scaturita direttamente dalla roccia, quasi fosse un'incrostazione naturale. Un muro era coperto da una pianta di caprifoglio che si avvitava oltre il tetto, ricoperto di massicce scandole in legno. In un fazzoletto di giardino, proprio sotto le finestre buie e incassate, fiorivano cespugli di rose tardive. Un piccolo sentiero di pietre piatte, ametista nella luce notturna, conduceva a un pittoresco ingresso ad arco con la porta in legno.
Strinsi la chiave che tenevo in mano, praticamente sotto shock.
«Che te ne pare?», chiese Alice, la voce di nuovo morbida, in perfetta sintonia con l'idillio di quella scena che pareva tolta di peso da un libro di fiabe.
Aprii la bocca ma non mi uscì alcun suono.
«Esme ha pensato che ci avrebbe fatto piacere avere un posticino tutto nostro per un po', ma voleva che restassimo a portata di voce», mormorò Edward. «E poi per lei ogni scusa è buona per ristrutturare vecchi ruderi. Questa casetta cadeva letteralmente a pezzi, era abbandonata da almeno un secolo».
Come imbambolata, non avevo ancora ritrovato l'uso della parola.
«Non ti piace?», chiese Alice profondamente delusa. «Cioè, sono sicura che possiamo rifarla, se vuoi. Emmett voleva già ampliarla di qualche migliaio di metri quadrati, alzarla di un piano, aggiungere un colonnato e anche una torre, ma Esme ha pensato che vi sarebbe piaciuta di più così, com'era nel progetto originale». Parlava veloce adesso, in un tono acuto che sfiorava lo stridulo. «Però se si è sbagliata non ci mettiamo niente a...». Riuscii a sibilare un «Sssh!».
Alice strinse le labbra e rimase in attesa. Mi ci volle qualche secondo per riavermi.
«Mi regalate una casa per il mio compleanno?», chiesi in un sussurro.
«Ci regalano», corresse Edward. «E poi non è che sia un palazzo da mille e una notte. Insomma, casa è una parola grossa».
«Attento a come parli», mormorai fra i denti. Alice s'illuminò. «Allora ti piace».
Feci segno di no con la testa.
«Di più?».
Annuii.
«Non vedo l'ora di dirlo a Esme!».
«Perché non è venuta anche lei?».
Il sorriso di Alice svanì per un istante, come se le avessi fatto una domanda imbarazzante. «Oh, be', lo sanno tutti come la pensi sui regali. Non volevano metterti a disagio».
«Ma era ovvio che mi sarebbe piaciuta. Voglio dire, come potrei non apprezzare una cosa del genere?».
«Saranno felici di saperlo», commentò, dandomi un paio di buffetti sul braccio. «Bene, la cabina armadio trabocca di roba, fanne buon uso. E... direi che è tutto».
«Non vuoi entrare?».
Arretrò di qualche passo, con aria casuale. «Edward sa già tutto. Io... faccio un salto più tardi. Ma chiamami pure, se hai dubbi riguardo all'abbinamento dei vestiti». Mi scoccò prima uno sguardo indeciso e poi un sorriso. «Jazz vuole andare a caccia. Ci vediamo».
E sparì in mezzo agli alberi come un proiettile di velluto.
«Non capisco», commentai dopo che l'eco del suo volo si fu spenta del tutto. «Sono talmente difficile che non hanno avuto il coraggio di accompagnarci? Adesso mi sento in colpa. Non ho nemmeno ringraziato Alice come si deve. Forse dovremmo tornare indietro e dire a Esme...».
«Bella, ti prego. Nessuno pensa che tu sia difficile».
«Allora perché...».
«Volevano lasciarci soli. Fa parte del regalo. Alice ha cercato di dirtelo fra le righe». «Ah».
Tanto bastò a far scomparire la casa e tutto il resto. Avremmo potuto essere ovunque. Non vedevo più alberi né pietre, nemmeno le stelle. Solo Edward.»

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